La liberazione di Silvia Romano, avvenuta dopo diciotto mesi di prigionia tra il Kenya e la Somalia, torna a far parlare di al-Shabaab, il gruppo jihadista somalo a cui la ragazza è stata ceduta dai rapitori kenioti e che l’ha tenuta in ostaggio fino al 9 maggio 2020. Nato nel 2006 come costola estremista dell’Unione delle corti islamiche, dal 2012 è il braccio di al-Qaeda nel Corno d’Africa e negli ultimi anni ha realizzato violenti attacchi tra Kenya, Somalia e Uganda, oltre al rapimento di numerosi cittadini stranieri per finanziare le attività terroristiche, forse con la complicità di alcuni Paesi della regione e del Golfo Persico.
La formazione – Le radici di al-Shabaab affondano nella guerra civile somala, iniziata nel 1991 con la caduta del regime di Siad Barre. Da allora si sono susseguiti numerosi interventi per cercare di formare un governo stabile, ma senza successo. È il 2006 quando il Governo federale di transizione (Tfg) riesce a sconfiggere l’Unione delle corti islamiche, che esercita il proprio potere applicando la legge islamica della sharia nei territori della Somalia meridionale e nella capitale Mogadiscio. Dall’implosione delle Corti islamiche si distacca un gruppo più estremo, Hizb al-Shabab, in somalo il “partito dei giovani”. Di matrice wahabita e jihadista, la versione più integralista dell’Islam, nella sua «guerra ai nemici della fede» al-Shabaab è arrivato a contare tra i 7 e i 9mila miliziani.
Gli attentati – L’espansione del gruppo si consolida a partire dal 2008, anno in cui gli Stati Uniti inseriscono al-Shabaab nella lista delle organizzazioni terroristiche attive all’estero, monitorate dal dipartimento di Stato, il ministero degli Esteri di Washington. Nell’estate del 2011 il Governo federale di transizione somalo, con l’aiuto della missione Amisom dell’Unione africana, libera la capitale Mogadiscio dalle forze jihadiste. L’anno successivo l’allora leader Ahmed Abdi Godane forma un’alleanza con al-Qaeda. L’escalation del terrore è repida e sanguinosa terrore è sanguinosa. È del 21 settembre del 2013 l’attacco di 10 uomini armati al centro commerciale Westgate a Nairobi, in cui vengono uccise 67 persone. Il 2 aprile del 2015 è la volta dell’incursione al Garissa University college in Kenya, un assedio durato quindici ore che provoca la morte di 148 persone. Poi due autobombe a Mogadiscio: quella del 14 ottobre del 2017, che con 587 vittime è l’attentato più letale avvenuto sinora in Africa, e quella del 28 dicembre 2019, con 85 vittime e 12 dispersi.
Appoggi sospetti – Durante gli anni di attività del gruppo, alcuni Paesi sono stati sospettati o accusati di aver fornito loro supporto. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sanziona nel 2009 l’Eritrea, sostenendo che il governo di Asmara finanzi milizie nel Corno d’Africa, tra cui appunto al-Shabaab, allo scopo di destabilizzare la regione. Più di recente il giornalista saudita Adnan Muhammad ha accusato il Qatar di aver appoggiato e finanziato sia il gruppo somalo che al-Qaeda e le sue emanazioni nei vari Paesi africani. La questione è stata sollevata anche dal New York Times: in un articolo dello scorso luglio si ipotizza che Emirati Arabi Uniti e Qatar abbiano sfruttato la situazione di instabilità in Somalia come campo di battaglia per le proprie rivalità. Formalmente alleato degli Stati Uniti, non è la prima volta che il Qatar viene accusato di finanziare gruppi radicali. I presunti rapporti tra la monarchia di Doha e al-Shabaab sono tornati di interesse attuale proprio con la liberazione di Silvia Romano: è stato grazie alla mediazione qatarina (oltre che turca) che i servizi dell’Aise, l’Agenzia italiana che si occupa di sicurezza all’estero, hanno potuto liberare la giovane cooperante.