«Dimettermi? Non ci penso nemmeno. La destra ricorre alla piazza perché debole e in crisi». Così il primo ministro albanese Edvin Kristaq ‘Edi’ Rama, in un’intervista al Corriere, torna oggi a parlare dell’imponente manifestazione delle opposizioni che sabato 16 febbraio hanno assaltato il palazzo del governo a Tirana definendo l’episodio come la più grande dalla caduta del comunismo. Una decina di dimostranti sono riusciti a entrare nell’edificio, ma sono stati cacciati dalle forze dell’ordine. Le richieste della piazza sono le dimissioni dell’attuale governo, accusato di corruzione e legami con i narcotrafficanti albanesi, e un esecutivo tecnico che porti a nuove elezioni. Una nuova manifestazione è stata annunciata a Tirana per giovedì 21 febbraio.

Basha: «Abbandonare il Parlamento» – La contestazione di sabato è un tentativo del Partito democratico, il principale partito di destra che ha governato dal 2005 al 2013, di rovesciare l’esecutivo di Edi Rama e del Partito socialista, che ha vinto le elezioni del 2013 e del 2017. Le accuse del leader democratico Luzim Basha sono di estrema corruzione, di aver condotto il Paese nella povertà e di collusione con i narcotrafficanti. Ad accendere l’indignazione popolare, riferisce La Stampa, di recente è stato l’annullamento da parte del’Alta corte di Tirana dell’ergastolo a un condannato per l’uccisione di 4 poliziotti con riduzione di un terzo la pena. «Noi non possiamo fare da facciata ad un parlamento eletto da un voto dettato dalla criminalità organizzata», ha detto Basha la domenica dopo. Per questo intende far dimettere i propri deputati, 43 su 140 totali, per costringere il presidente della Repubblica Ilir Meta, ex socialista, a sciogliere il parlamento e indire nuove elezioni. Ai democratici si aggiungerebbero le dimissioni dei 19 deputati del ‘Movimento socialista per l’integrazione’ che è alleato del Pd nella protesta. Rama però ha negato qualsiasi ipotesi di dimissioni o nuove elezioni. Le opposizioni, dice il governo, stanno ricorrendo alle manifestazioni per nascondere la loro debolezza politica. «Se si andasse a votare domani prenderebbero meno voti che nel 2017», ha detto il premier, aggiungendo che lui deve rispondere alla maggioranza dei cittadini albanesi – Rama ha vinto le ultime elezioni con il 49% dei voti – non a una «rumorosa minoranza parlamentare».

I precedenti: universitari a dicembre e anarchia del ’97 – La manifestazione di sabato ha un precedente molto vicino. In dicembre ci sono state grandi proteste da parte degli universitari albanesi contro il costo delle rette accademiche e la disoccupazione giovanile che spinge molti giovani all’emigrazione. In quel caso la contestazione portò alle dimissioni di diversi ministri del governo Rama e all’accoglienza di alcune critiche portate dai dimostranti. «Quella era una contestazione sincera – ha detto il premier – che avanzava richieste specifiche. Quella dei giorni scorsi invece sporca solo l’immagine all’estero dell’Albania, senza chiedere nulla di concreto». La principale rivolta popolare dell’Albania post-comunista è stata però nel 1997, quando il crollo di uno “schema Ponzi” diffuso in tutto il Paese costò la perdita dei risparmi a un terzo dei cittadini albanesi. La rabbia fu rivolta contro il governo e le istituzioni, che fino all’ultimo avevano rassicurato sulla solidità degli investimenti. Per sei mesi, da gennaio ad agosto, l’Albania fu nel caos e il governo perse il controllo di vaste zone del Paese e soprattutto di molti depositi di armi. L’ordine fu ristabilito grazie a un accordo tra i vari partiti politici per andare a elezioni. All’epoca presidente dell’Albania, al tempo repubblica presidenziale, era il democratico Sali Berisha, poi primo ministro dal 2005 al 2013. Durante la crisi l’Italia ha inviato in Albania 7mila soldati, in appoggio al governo, su mandato Onu nell’ambito dell’operazione Alba.

Corruzione e traffico di droga – La corruzione è il principale problema dell’Albania. Insieme al crescente potere dei narcotrafficanti, che stanno trasformando l’Albania nel centro del traffico di droga europeo con l’aiuto delle mafie italiane, è uno dei motivi per cui nel 2018 l’Albania è stata giudicata «parzialmente libera» da ‘Freedom house’, nonostante libertà civili ed elezioni regolari. Nella classifica sulla corruzione percepita, l’Albania è il Paese peggiore d’Europa dopo Ucraina e Russia, al 99esimo posto su 180 Stati nel mondo (l’Italia è 53esima). L’Unione europea ha messo l’abbattimento della corruzione come condizione principale per iniziare il processo di entrata dell’Albania nell’Ue. Anche le più alte cariche dello Stato vengono periodicamente coinvolte in scandali: l’attuale presidente della Repubblica fu filmato da viceministro mentre cercava di intervenire su alcuni appalti pubblici, anche se poi fu assolto da ogni accusa. Nel 2018 il ministro dell’Interno del governo Rama, Fatmir Xhafaj, si è dovuto dimettere dopo che due politici socialisti sono stati arrestati insieme ad altre 22 persone in un’operazione contro il traffico di droga. Il suo predecessore, Saimir Tahiri, è da maggio agli arresti domiciliari con accuse di narcotraffico e corruzione. Il Partito socialista aveva inizialmente negato l’autorizzazione a procedere quando Tahiri era ancora deputato. Anche l’attuale opposizione ha avuto problemi durante gli anni di governo. Nicolin Jaka, viceministro dei Trasporti del precedente governo Berisha, è stato arrestato nel 2007 per tangenti insieme a diversi funzionari dello stesso ministero.