Il clima si fa caldo per Donald Trump. A surriscaldarlo non sono però solo l’emergenza sanitaria ed economica legata al Covid-19, le proteste della comunità afroamericana contro la polizia dopo la morte di George Floyd e le tensioni internazionali con la Cina. Il clima si fa caldo a causa di Trump, nel vero senso della parola. O almeno, secondo diversi esperti, rischia seriamente di diventarlo per effetto dell’atteggiamento ostile del presidente degli Stati Uniti nei confronti delle politiche ambientali in questi anni di governo. Il New York Times ha svolto un lavoro di monitoraggio sull’azione deregolatoria del tycoon. Risultato (aggiornato ad inizio giugno 2020): Trump ha messo nel mirino 100 leggi green, molte delle quali nate nell’era Obama, abrogandone o indebolendone 66; 34, invece, sono attualmente in corso di revisione.

La crociata contro l’ambiente – Trump non ha mai fatto mistero delle sue posizioni negazioniste verso i cambiamenti climatici. Emblematiche le sue uscite pubbliche sulle temperature rigide degli ultimi inverni. «Sulla costa Est potrebbe essere la vigilia dell’anno più freddo mai registrato – twittava a fine 2017 -. Potremmo usare un po’ di questo buon, vecchio, riscaldamento globale, per difenderci dal quale il nostro Paese, ma non altri Paesi, stava per pagare trilioni di dollari. Copritevi bene!».Ma da quando siede nelle Studio ovale, il tycoon dalle parole è passato ai fatti. La mossa più eclatante a livello mondiale è stato l’annuncio dell’uscita degli Usa, secondo Paese per emissioni di anidride carbonica al mondo, dall’accordo sul clima di Parigi del 2015, ufficializzato a novembre 2019.

Se il Covid-19 diventa la scusa – Innalzamento dei limiti alle emissioni dei veicoli, norme meno severe per le industrie che inquinano le acque di fiumi e mari, riduzione delle aree tutelate per favorire la biodiversità. C’è un po’ di tutto tra i dietrofront fatti da Trump. Un lavoro impressionante di smantellamento dell’impalcatura legislativa americana di tutela ambientale e di contrasto ai cambiamenti climatici che procede a tutta velocità. Anche durante l’emergenza Covid-19. La crisi innescata dal virus è diventata la giustificazione per accelerare l’abbattimento di certi limiti di legge che, nell’interpretazione di Trump, quasi sempre rappresentano zavorre per la ripresa economica.

Le ultime mosse – Prova ne sono le ultime due iniziative annunciate a giugno. Il numero uno della Casa Bianca ha infatti firmato un ordine esecutivo con il quale, da una parte, tutte le agenzie governative potrebbero evitare di svolgere gli esami di impatto ambientale sui progetti di infrastrutture energetiche da avviare durante questo periodo di emergenza pandemica; dall’altra, appoggia la proposta dell’Envrionmental protection agency (Epa), l’agenzia per la protezione dell’ambiente del governo americano, di dare meno peso alle analisi costi-benefici nelle future regole che verranno promulgate nell’ambito del Clean air act, la legge che tutela la qualità dell’aria. Una decisione che potrebbe presto essere estesa alle norme sulla qualità delle acque e della sicurezza relativa alle sostanze chimiche. «L’analisi costi-benefici non verrebbe più usate per giustificare le regole», ha detto Andrew Wheeler, responsabile dell’Epa, alla stampa.

La strategia per le elezioni – Mentre in Europa si parla di Green new deal, l’ambizioso piano per portare l’Eurozona alla neutralità climatica entro il 2050, Trump va esattamente nella direzione opposta. E ci va con molta fretta. A inizio novembre si ripresenterà alle elezioni presidenziali per i Repubblicani. Gli allentamenti delle norme di protezione ambientale e di contrasto al surriscaldamento climatico possono valere, almeno in parte, il secondo mandato. Una riconferma per la quale potrebbe giocare un ruolo pesante il mondo industriale, lobby comprese, della produzione di combustibili fossili americano. Ma anche quella fetta di opinione pubblica meno sensibile alle tematiche green e più incline a seguire la narrazione trumpiana che descrive le leggi pro-ambiente come limitazioni pesanti all’economia americana, messa alle corde dall’emergenza Covid-19, e favori alle potenze rivali, in primis la Cina. E ancora, questa interpretazione potrebbe avere presa su parte dei milioni di persone che hanno perso il posto di lavoro (a inizio giugno oltre il 13 per cento della popolazione).

Lasciare il segno – Accelerare ora per rendere meno vincolanti le valutazioni di impatto ambientale e le analisi costi-benefici sulla qualità dell’aria, significherebbe anche complicare la vita all’eventuale successore. Insomma, Trump vuole lasciare il segno. In caso di conquista da parte di Joe Biden della Casa Bianca e del Senato, i Democratici attraverso il Congresso avrebbero infatti la possibilità di sfruttare il Congressional review act per annullare i provvedimenti entrati in vigore nei 60 giorni legislativi precedenti il suo insediamento. Lo stesso potere sfruttato da Trump nei suoi primi 100 giorni da presidente per cancellare 14 provvedimenti di Obama. Di questi, quattro erano collegati al settore ambiente ed energia: dalle limitazioni alle procedure di smaltimento di detriti delle miniere ai requisiti di trasparenza più stringenti per le compagnie energetiche che fanno affari con governi stranieri, dalle restrizioni sull’uso di determinate aree di suolo pubblico a quelle relative alla caccia di alcune specie di animali sul territorio dell’Alaska.

Controlli più blandi sul mercurio – Si trattava solo della premessa. I colpi più grossi Trump li ha realizzati negli ultimi mesi. A cominciare dallo stralcio della giustificazione legale che obbligava le centrali elettriche a carbone a ridurre l’inquinamento da mercurio. La giustificazione, introdotta da Obama, si basava su un’analisi costi-benefici che forzava le centrali elettriche a carbone a monitorare e ridurre la produzione di mercurio. Questo sulla base di un calcolo che metteva a confronto i risparmi sui costi sanitari con i costi di conformità. Nel caso i primi avessero superato i secondi, gli investimenti sarebbero stati ingiustificati. Lo stralcio si è basato su un ricalcolo dei costi-benefici fatto dall’Epa in era Trump, che ha ridimensionato la convenienza per la salute pubblica. Per molti questo potrebbe essere il primo passo verso il ritiro integrale della norma contro l’inquinamento da mercurio (Mercury and Air Toxic Standards Act).

Nuovi standard per le auto – In dirittura di arrivo c’è anche la norma sulle emissioni delle auto. Annunciata a fine marzo da Trump, la riforma dovrebbe abbassare gli standard di efficienza energetica dei veicoli portando a un incremento dell’inquinamento derivante dai gas di scappamento. Con l’ok definitivo le nuove macchine americane arriverebbero ad emettere, secondo il New York Times, quasi un miliardo di tonnellate in più di anidride carbonica e a consumare circa 300 miliardi di litri di benzina in più nel corso del loro ciclo di vita. Le nuove regole cancellerebbero praticamente gli sforzi fatti da Obama per introdurre limiti più severi all’inquinamento del trasporto privato. Tanto che alcuni esperti vedono il provvedimento come il passo più grande di Trump nell’azione di smantellamento delle norme a favore dell’ambiente.

Il balzo all’indietro degli Usa – Se l’emergenza Covid-19 ha fatto passare in secondo piano quella climatica in tutto il mondo, negli Stati Uniti insomma questo slittamento era già cominciato da tempo. A pochi mesi dalle elezioni presidenziali, il tema rischia di non avere la visibilità che meriterebbe, oscurato da altre questioni altrettanto importanti come le tensioni sociali nella comunità afroamericana e i contrasti commerciali e geopolitici con la Cina. Il tutto nell’anno in cui si sarebbe dovuto imprimere un cambio di marcia deciso al contrasto del surriscaldamento globale sulla scia dell’accordo di Parigi. I movimenti per l’ambiente, come il Friday for future guidato da Greta Thunberg, gridano nelle piazze e sui social che non si può più aspettare per agire. Trump lo ha fatto. Portando l’America indietro di quattro anni.