Abortire in America latina non è facile. In molti Paesi della regione chi lo fa, o chi aiuta a farlo, rischia il carcere. Questo non ferma le donne che decidono di interrompere volontariamente la gravidanza. Né il carcere, né la morte, nella quale spesso si imbattono a causa di interventi clandestini non sicuri e molto costosi, quindi appannaggio di una ristretta fascia di popolazione. Qualcosa, però, si muove. Lunedì 21 febbraio 2022, in Colombia, una sentenza della Corte Costituzionale ha depenalizzato l’aborto entro le prime 24 settimane di gravidanza. Una scelta importante che assume un valore ancora maggiore se si considera che parliamo di uno dei Paesi più popolosi e con un’ampia fetta della popolazione ancora fortemente conservatrice: in Colombia non c’è mai stato un presidente di sinistra.

I numeri in Colombia – Prima di questa storica sentenza, in Colombia la legge sull’aborto era datata 2006, anche in questo caso dopo una pronuncia della Corte costituzionale. Da 15 anni le donne colombiane potevano abortire solo in caso di rischio per la vita della madre, malformazione del feto o se erano rimaste incinta a seguito di una violenza o di un abuso, come nel caso di un’inseminazione artificiale senza consenso. Nel Paese chi abortiva o aiutava a farlo rischiava fino a quattro anni di carcere. Secondo i dati del ministero della Salute, in Colombia il numero di morti materne relazionate all’aborto è sceso dal 16% del 1994 al 9% del 2007. Tuttavia, secondo alcune stime recenti, nel Paese si realizzano ancora circa 400 mila aborti clandestini ogni anno, 130 mila dei quali con complicazioni: 90 mila di questi richiedono l’intervento di un medico. Se si guarda ai decessi, di 780 morti materne nel 2008, circa 70 si dovevano agli aborti insicuri. Anche i numeri del rapporto del DANE (Departamento Administrativo Nacional de Estadística), presentato nel gennaio 2021, sono preoccupanti: nel 2020 4.268 bambine tra 10 e 14 anni sono diventate madri. Di queste, il 44,4% ha abbandonato gli studi a causa della gravidanza.

Ragazza indossa il pañuelo verde, simbolo della lotta per il diritto all’aborto in Argentina

La situazione nel resto della regione – Il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza è concesso solo a Cuba, in Uruguay, in Guyana, a Città del Messico e, da dicembre 2020, anche in Argentina. La legge votata dalla maggioranza peronista, guidata dal presidente Alberto Fernandéz, include l’interruzione volontaria di gravidanza nelle prestazioni mediche di base, istituisce il diritto all’aborto in qualsiasi caso fino alle 14 settimane di gestazione e, oltre questo periodo, per le donne vittime di violenza o per le quali partorire comporterebbe un pericolo per la propria vita. Chi non vuole riconoscere il diritto all’aborto volontario tende a sottostimare un fattore fondamentale: che sia legale o no, le donne abortiscono. Stando a un report di Amnesty International del 2017, in Argentina si effettuano tra i 460 mila e i 600 mila aborti clandestini l’anno.La maggioranza degli Stati dell’America latina, invece, prevede il diritto all’aborto solo in caso di violenza sessuale o quando si renda necessario un intervento terapeutico, ossia in presenza di un serio rischio per la vita della madre o in caso di malformazioni fetali. Tuttavia, la cultura religiosa e conservatrice che permea il tessuto sociale sudamericano influenza il lavoro degli operatori giuridici e sanitari, spesso restii alla pratica. Secondo uno studio effettuato dall’organizzazione Mujer Y Salud en Uruguay, per esempio, le statistiche sull’obiezione di coscienza riportano un dato superiore al 50% a Montevideo e picchi del 100% nelle zone rurali del Paese, nonostante l’Uruguay sia considerato uno degli Stati quanto alla tutela dei diritti riproduttivi.
In Centro e Sud America la situazione è ancora peggiore. Nella maggior parte dei Paesi l’aborto è ancora totalmente criminalizzato: in El Salvador, Honduras, Nicaragua, Haiti, Repubblica Dominicana e Suriname non è possibile accedere alla procedura abortiva nemmeno nei casi di violenza, malformazioni fetali, pericolo per la salute o per la vita della madre. Come se non bastasse, il divieto a vedersi riconosciuto il diritto di decidere sul proprio corpo è cristallizzato anche in molte Costituzioni ed è stato rafforzato dall’entrata in vigore della Convenzione americana sui diritti umani, il cui articolo 4 è dedicato alla protezione della vita umana “dal momento del concepimento”.
La Corte Interamericana, però, con la storica sentenza del 2012 Artavia Murillo c. Costarica, ha interpretato tale espressione in maniera innovativa, legando il significato di “concepimento” non già al momento della fecondazione ma a quello dell’impianto (che si riscontra dopo circa una settimana dalla fecondazione), e negando quindi l’attribuzione dello status giuridico di persona all’embrione. Questa posizione è stata poi confermata dalla Commissione Interamericana in risposta all’interrogazione che le è stata rivolta da un deputato di Cambiemos nel 2018, quando in Argentina si stava discutendo della proposta di legalizzazione dell’aborto.

L’aborto nel mondo – La conquista ottenuta in Colombia e in Argentina, dopo anni di lotta, incoraggia chi in tutto il mondo sostiene i diritti delle donne a decidere sul proprio corpo. Nonostante negli ultimi 25 anni circa 50 Paesi abbiano legalizzato o incluso nuove motivazioni per cui si può abortire, la strada per garantire il pieno accesso a questo diritto è ancora lunga. In molte zone del mondo l’aborto è vietato. In molte altre è considerato un reato punibile con la prigione anche se spontaneo. Dalla mappa, che fotografa la regolamentazione mondiale, appare come il 41% delle donne in età fertile viva in Paesi con norme restrittive: circa 700 milioni di donne non hanno libero accesso all’interruzione volontaria della gravidanza.
Ma le leggi non fermano gli aborti, li rendono solo più pericolosi. Secondo il Guttmacher Institutei tassi di aborto sono molto simili nei Paesi dove questo diritto è legale e in quelli che invece lo escludono. Anzi, dal 1990 al 2014 i tassi di aborto nei Paesi in via di sviluppo sono rimasti invariati (da 39 a 37 ogni 1000 donne in età fertile l’anno), mentre nel resto del mondo il numero è sceso: da 46 a 27 aborti ogni 1000 donne in età fertile all’anno. Lo studio evidenzia come i divieti o le leggi restrittive non costituiscano affatto un deterrente, né comportino una riduzione dei tassi di aborto volontario, causando invece il ricorso a pratiche clandestine, non sicure, che costituiscono un grave rischio per la salute delle donne.
Secondo l’OMS, ogni anno tra il 4,7% e il 13,2% dei decessi da cause ostetriche è da attribuire ad aborti non sicuri. In Africa e in America latina tre aborti su quattro sono non sicuri. La differenza tra le aree del mondo è evidente: nei Paesi in via di sviluppo muoiono 220 donne ogni 100.000 aborti non sicuri; nel resto del mondo il numero scende a 30. Nell’Africa subsahariana il numero è di 520 morti. Anche quando non si muore, il rischio è alto: circa il 40% degli aborti non sicuri può portare a complicazioni.
la mancanza di sicurezza c’è anche dove il diritto dovrebbe essere garantito e invece non lo è. Perché se vicino a casa non ci sono ospedali in cui abortire, o se in quegli ospedali tutti i medici sono obiettori, le donne sono costrette ad andare da un’altra parte. E questo non sempre è possibile: per ragioni economiche o perché le lunghe liste d’attesa fanno superare il termine entro il quale l’aborto è legale.