La Giordania prende posizione: per il regno Hascemita il piano di pace previsto da Trump per il Medio oriente sarebbe inaccettabile. Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha avvertito che un tentativo di Israele di imporre unilateralmente nuove realtà sul terreno in Cisgiordania avrebbe «ripercussioni catastrofiche». «Ogni tentativo israeliano di annettere la valle del Giordano, il nord del mar Morto e altre zone della Cisgiordania», ha aggiunto riferendosi ai progetti anticipati di recente dal premier Benyamin Netanyahu, «minerebbe alla base la soluzione dei Due Stati ed i pilastri su cui si basa il processo di pace».
Il piano di Trump – Alla base di queste dichiarazioni c’è il piano per il medio oriente proposto dal presidente degli Stai Uniti Donald Trump il 28 gennaio e da cui la Giordania prende le distanze. Il ministro degli Esteri giordano, citato dall’agenzia di stampa ufficiale Petra, ha ribadito che «la soluzione dei Due Stati deve fondarsi sulla costituzione di uno Stato palestinese indipendente con capitale a Gerusalemme est e con confini basati sulle linee armistiziali in vigore fino alla guerra del 1967». Per una pace duratura, ha aggiunto, «occorre basarsi sulla legittimità internazionale e sulla Iniziativa di pace araba del 2002». Linee che il piano americano stravolgerebbe completamente in favore degli israeliani. Il presidente Trump vorrebbe concedere a Israele grosse porzioni di territorio palestinese in cambio della rimozione di qualche insediamento illegale di coloni israeliani. Per quanto riguarda la capitale, il piano americano prevede l’intera Gerusalemme come capitale di Israele con alcune piccole parti di Gerusalemme Est designate a capitale per i palestinesi.
La guerra dei sei giorni – I confini del 1967 a cui si riferiscono i giordani sono quelli stabiliti dopo il conflitto che ha visto coinvolti lo stato di Israele, l’Egitto, la Siria e la stessa Giordania. In 130 ore di guerra, Israele cambiò il volto del Medio Oriente e passò da 21.000 a 102 000 km²: la Siria perse le alture del Golan, l’Egitto la striscia di Gaza che occupava dal 1948 e la penisola del Sinai fino al canale di Suez, mentre la Giordania dovette cedere l’insieme delle sue conquiste del territorio palestinese ottenute nel 1948. L’annessione di Gerusalemme venne ratificata all’indomani del conflitto, indicando la volontà di Israele di conservare in tutto o in parte le sue conquiste. Gli Stati Uniti, a differenza di quanto avvenne nel 1956, quando avevano preso le parti dello Stato ebraico, chiesero il ritiro senza condizioni dai territori che erano stati occupati. Fu trovato dalle grandi potenze un compromesso: la risoluzione 242 delle Nazioni Unite che subordinava il ritiro israeliano dai Territori Occupati allo stabilirsi di una pace giusta e duratura e alla cessazione delle attività terroristiche da parte dei palestinesi. Israele aderì, anche se malvolentieri, seguita da Nasser e da re Husayn di Giordania, mentre i palestinesi che avevano l’appoggio della Siria la rifiutarono.
La risposta – LA Lega araba ha condannato il piano illustrato di Trump sul Medio Oriente sostenendo che si tratta di «una grande violazione dei diritti dei palestinesi». In un comunicato il segretario generale, Ahmed Aboul Gheit, ha sottolineato: «Studieremo minuziosamente la prospettiva americana e siamo aperti a tutti gli sforzi seri a favore della pace». Ha tuttavia aggiunto che «emerge una consistente violazione dei diritti legittimi dei palestinesi». Intanto Benyamin Netanyahu ha detto: «Gli Stati Uniti riconosceranno le colonie israeliane nei territori come parte di Israele». «Secondo il piano – ha aggiunto -, i rifugiati palestinesi non avranno diritto al ritorno in Israele». Netanyahu si è detto pronto a negoziare con i palestinesi un «cammino verso un futuro Stato, ma a condizione che questi riconoscano Israele come uno Stato ebraico».