Le manifestazioni in piazza a Tunisi contro l'attacco terroristico del 18 marzo

Le manifestazioni in piazza a Tunisi contro l’attacco terroristico del 18 marzo

È un esempio di integrazione e moderazione religiosa, culturale, politica il nuovo obiettivo dell’estremismo islamico. Il messaggio degli attentati a Tunisi del 18 marzo è chiaro. Quella tunisina è una giovane democrazia in pericolo, dopo l’equilibrio trovato nelle elezioni dell’ottobre 2014 con la coalizione di governo tra gli islamici moderati di Ennahda e i laici di Nidaa Tounes, il partito del presidente Beji Caid Essebsi. Non stupisce che l’unico esempio di “primavera araba” almeno parzialmente riuscito, con l’adozione di una costituzione che garantisce diritti civili e politici e la vicinanza ai valori occidentali della democrazia, sia inviso all’estremismo islamico.

Quello tunisino è un esempio che i jihadisti disprezzano perché potrebbe costituire un esempio per il Medio Oriente e l’area del Maghreb. Un esperimento che i terroristi vorrebbero vedere fallire. Anche perché la stessa Tunisia sta combattendo i jihadisti al confine con la Libia, nel sud del Paese. Il fronte dell’estremismo islamico si sta allargando su entrambe le sponde del Mediterraneo. Da una parte Parigi e Copenhagen, dall’altra la continuità delle azioni del jihadismo che allunga la propria ombra sul nord Africa minacciando Paesi fragili come Marocco e Algeria. La stessa Tunisia deve ancora vincere la sua scommessa. La sua economia deve ancora riprendersi del tutto. Dopo aver vinto le prime elezioni libere nel 2011, lo stesso Ennahda ha perso rapidamente il sostegno della popolazione perché non è riuscita a risanare l’economia. L’attacco al museo del Bardo di Tunisi sarà un duro colpo per il turismo e gli investimenti, i settori su cui puntava il Paese per rilanciarsi.

Ma non solo: sulla Tunisia si agita il fantasma dei foreign fighters rientrati nei suoi confini. Paese piccolo, ma col numero più alto di jihadisti partito per Siria e Iraq, 3.000 per le fonti ufficiali. Cinquecento sono già rientrati in patria. Difficile per le forze dell’ordine tunisine tenerli sotto controllo. È la tenuta del Paese di fronte alle infiltrazioni di diversi gruppi jihadisti a preoccupare. La Tunisia è un baluardo strategicamente fondamentale perché ponte sia geografico che ideale tra le democrazie europee e il nord Africa.

Matteo Furcas