Ammy “Dolly” Everett nella campagna pubblicitaria di Akubra. (Foto dalla pagina Facebook di Akubra Hats)

«Chi ha pensato che fosse solo un gioco e si è divertito ad atteggiarsi da bullo contro mia figlia, vorrei che venisse al suo funerale per rendersi conto di quale disastro ha combinato». A scriverlo su Facebook è Tick Everett, padre di Ammy, la 14enne australiana che si è suicidata lo scorso 3 gennaio perché vittima di bullismo. Secondo la psicologa Emanuela De Chicchis, che collabora con le scuole tramite uno sportello di ascolto, è essenziale che la prevenzione di questi episodi venga fatta su due fronti: quello di chi subisce e quello di chi provoca.

Chi era Ammy – A otto anni era stata il volto di una campagna pubblicitaria di Akubra, azienda famosa per la produzione dei tipici cappelli australiani a banda larga. Il padre descrive Ammy “Dolly” Everett come una ragazzina forte. Una forza che avrebbe dimostrato «anche nel mettere in atto il suo tragico piano per sfuggire alla cattiveria di questo mondo», ha scritto nel lungo post su Facebook che ha pubblicato per ringraziare chi è stato vicino alla sua famiglia in questi giorni. Non sembrerebbe la tipica vittima di bullismo, riservata e fragile, della quale solitamente si legge sui giornali, «ma non dobbiamo dimenticarci», fa notare la dottoressa De Chicchis, «che anche se già famosa per essere apparsa in una pubblicità, si trattava pur sempre di una ragazzina e in quella esperienza era stata sicuramente seguita dai genitori. Non stiamo parlando di una persona adulta che poteva prendere in mano da sola la propria vita».

Un’educazione che coinvolga tutti – «Il padre ha parlato di gioco, ma anche il bullo in realtà è una persona fragile – prosegue l’esperta – per questa ragione bisogna  aiutare sia la vittima a rafforzare il proprio carattere per imparare a difendersi, sia chi mette in atto questi comportamenti a capire le conseguenze delle proprie azioni». Internet e i social network hanno aumentato la possibilità di interloquire senza guardarsi in faccia: in questo modo chi scrive frasi offensive non può rendersi conto di quali reazioni provoca effettivamente nella persona che le riceve. «Anche i bambini in quinta elementare hanno gruppi whatsapp e spesso si scrivono cose tremende, perché non sono ancora stati educati ad avere attenzione per il significato delle parole che usano», spiega De Chicchis, e aggiunge che «nelle scuole bisognerebbe lavorare anche sull’educazione emotiva, coinvolgendo sia i genitori della vittima, che tendono a proteggerla eccessivamente e non la aiutano a sviluppare difese proprie, sia quelli del bullo, che solitamente lo giustificano e sottovalutano i suoi comportamenti».

L’impegno della famiglia di Ammy – Oltre ai ringraziamenti, il padre ha condiviso anche un recente disegno della ragazzina che mostra una figura magra piegata all’indietro e sotto la scritta: «Parla anche se la tua voce trema». Tick Everett spera che l’attenzione per la morte della figlia possa «aiutare altre preziose vite» e ha invitato a una battaglia per una maggior consapevolezza sul problema. Inoltre, secondo l’emittente australiana ABC, la famiglia ha dichiarato di voler creare un fondo per aumentare la consapevolezza di bullismo, ansia, depressione e suicidio giovanile.