Tutti hanno il diritto di cambiare idea, Joe Biden compreso. Le elezioni americane si avvicinano e il presidente in carica sembra non essere più convinto di rinnovare la propria candidatura, almeno secondo alcune indiscrezioni del New York Times, smentite però quasi subito dalla Casa Bianca. Ma se non lui, allora chi? Questa la domanda che attanaglia non solo l’informazione, ma anche e soprattutto gli elettori americani, almeno quelli democratici, che ancora non sanno quale sarà il nome da indicare sulla scheda elettorale martedì 5 novembre 2024.
Michelle Obama ha detto no – I sondaggi parlano chiaro: l’unica candidata in grado di battere il repubblicano Donald Trump sarebbe la ex first lady Michelle Obama. Secondo uno studio realizzato da Reuters/Ipsos Obama batterebbe il Tycoon aggiudicandosi il 50% dei voti, lasciando il repubblicano al 39%. Avvocata, attivista e scrittrice, l’ex first lady è rimasta sulla scena anche dopo la conclusione del mandato del marito Barack Obama, ma non si è mai mostrata interessata a prendere parte alla corsa presidenziale. «No, no, non lo farò», queste le sue parole nel 2017, quando era stata interpellata dalla stampa alla fine del secondo mandato del marito. La sua posizione, oggi, non sembra essere cambiata di molto.
L’alternativa reale: Kamala Harris – Sono lontani i tempi in cui Drew Barrymore nel suo talk show esortava la vicepresidente a diventare la «Momala» degli Stati Uniti. Sembra infatti che solo sulla carta Harris potrebbe rappresentare un’alternativa valida alla ricandidatura dell’attuale presidente: è donna, è nera e avrebbe dalla sua almeno una buona parte dei democratici appartenenti a queste minoranze. Tuttavia, pur essendo di fatto l’unica sostituta possibile di Biden, in questi anni da prima donna vicepresidente degli Stati Uniti il consenso a suo favore non è cresciuto, anzi. Secondo il Wall Street Journal la cerchia di Biden sta indicando Kamala Harris come erede diretta solo per spaventare gli elettori moderati, costringendo lo stato maggiore a rinominare il vecchio leader alla convenzione che si terrà il prossimo agosto a Chicago. Troppo progressista, dunque, per i democratici più centristi, ma non abbastanza per i riformisti. Durante il suo mandato da vicepresidente, infatti, non ha convinto nemmeno l’amministrazione presidenziale di cui fa parte. Nei primi anni di mandato, poi, Biden ha affidato a Harris alcuni incarichi complicati, per esempio la gestione della crisi migratoria al confine, un tema su cui Trump e i repubblicani sono particolarmente agguerriti. Per di più, nel suo primo anno da vicepresidente Harris ha anche rilasciato alcune interviste deboli e incerte, che hanno contribuito a creare un’immagine di vicepresidente inadeguata. Tutti fatti di cui ora potrebbe pagare le conseguenze.
Cosa dicono i governatori – Nella giornata di mercoledì 3 luglio Biden ha deciso di parlare con Kamala Harris e con molti influenti governatori democratici, dopo che alcuni di loro hanno palesato i propri dubbi sulla sua candidatura. Una fra tutti, Nancy Pelosi, ex speaker della Camera, ha dichiarato «legittimo» chiedersi se le condizioni del presidente viste al dibattito fossero «un episodio o la normalità». Dopo l’incontro di mercoledì, tre dei 24 governatori presenti (quelli dello stato di New York, del Maryland e del Minnesota) hanno parlato con i giornalisti per prendere pubblicamente posizione a favore di Biden, spiegando di aver avuto con lui una discussione onesta sul fatto che il dibattito contro Trump fosse andato molto male. Wes Moore, governatore del Maryland, ha detto: «Il presidente ci ha sempre protetto, ora noi faremo lo stesso con lui».
Condizione imprescindibile per lasciare spazio a un nuovo candidato, comunque, è una sola: che Joe Biden decida di farsi da parte. Senza il suo consenso, la nomina non potrà essergli negata.