Foto di EPA/LYNN BO BO

«Occorre agire secondo la legge con misure efficaci contro i reati che disturbano, impediscono e distruggono la stabilità del Paese, la sicurezza pubblica e lo stato di diritto». È stato questo l’avvertimento trasmesso dalle autorità birmane sul canale Mrtv, in risposta alle manifestazioni contro il golpe militare del 1 febbraio, iniziate sabato scorso e ancora in atto. Un primo tentativo di scoraggiare le migliaia di persone scese in strada negli ultimi giorni. Nella capitale Naypyidaw la polizia ha usato invece i cannoni ad acqua contro la folla.

Il golpe – Alle prime ore del mattino del 1 febbraio l’esercito aveva arrestato il premio Nobel per la pace e consigliere di Stato Aung San Suu Kyi, il presidente Win Myint e tutti i vertici della Lega nazionale per la democrazia (Nld), il partito democratico vincitore delle elezioni di novembre 2020. Erano seguiti l’annuncio di messa in stato di emergenza del Paese per un anno, il trasferimento di tutti i poteri al capo delle forze armate Min Aung Hlaing, e quello della presidenza ad interim al generale Myint Swe, prima uno dei due vicepresidenti in carica. Un vero e proprio golpe militare con l’obiettivo di riportare il Myanmar al regime dopo l’apertura democratica degli ultimi anni: le prime elezioni parlamentari nel 2011. L’esercito è a capo del Paese dal 1962, ma negli anni il suo potere si è ridimensionato, come nel caso delle ultime elezioni di novembre 2020. L’Ndl, il partito di Aung San Suu Kyi, ha ottenuto in Parlamento 920 seggi su 1170, una vittoria schiacciante rispetto all’appena 7% di voti del partito dell’Unione della solidarietà e dello sviluppo (Usp), espressione delle forze armate. Questo risultato non è mai stato accettato dai militari, che hanno subito gridato alla frode elettorale. Nella prima settimana di febbraio, il Parlamento avrebbe dovuto approvare il Governo, che sarebbe entrato in carica per il secondo mandato (il primo nel 2015).

La risposta di Aung San Suu Kyi e le proteste – Il premio Nobel per la pace è però stato arrestato. La motivazione ufficiale è stata il possesso di walkie talkie stranieri, un prodotto che violerebbe le regolazioni di import-export del Paese. E che potrebbe mettere Aung San Suu Kyi fuori gioco per quasi tre anni. La sua risposta è stata un invito a resistere, passato attraverso un comunicato stampa dell’Nld: «Le azioni dei militari mirano a riportare il paese sotto una dittatura. Per questo chiedo al popolo di non accettare quello che sta succedendo, rispondere e protestare massicciamente contro le forze armate». Un invito subito raccolto dalla popolazione. I primi segnali di protesta sono cominciati il 3 febbraio. Nell’ex capitale Yangon, molti cittadini si sono affacciati dai balconi sbattendo pentole e altri tamburi improvvisati alle 20, quando è scattato il coprifuoco indetto dalla giunta militare. Online invece, migliaia di birmani hanno rilanciato su Facebook e Twitter un manifesto per un “Movimento di disobbedienza civile”, proposto da alcuni medici di ospedali statali e che hanno qui annunciato di rifiutarsi di lavorare per il Governo militare. A partire da sabato, i manifestanti hanno invaso le strade delle principali città birmane gridando allo sciopero generale e alla democrazia. Durante il terzo giorno di proteste, a Mandalay sono scesi in strada anche alcuni monaci buddhisti. L’arancione delle loro vesti si è unito ai colori della bandiera del Myanmar, sollevata contro le forze armate. Con loro, un altro gruppo ben visibile seppur in nero: quello degli avvocati. Tra i simboli della protesta, come già in Thailandia, tre dita sollevate verso il cielo, dal film Hunger games.

L’arresto dei social – Dopo le reazioni online, il Governo militare ha bloccato alcuni social. Secondo il gruppo di monitoraggio di Internet NetBlocks, sia l’accesso a Facebook, la piattaforma più diffusa nel Myanmar, che a Twitter e Instagram sono stati limitati «fino a nuovo avviso».