Ci sarebbero gli uomini del generale Haftar dietro l’esplosione del 21 gennaio avvenuta vicino all’ambasciata italiana in Libia. La Procura di Tripoli, che ha già avvisato l’ambasciatore italiano Giuseppe Perrone, ha confermato quanto già affermato dal portavoce dalle Forze di Deterrenza facenti capo al governo nazionale di Al Serraj. Due dei tre responsabili dello scoppio, uccisi dalla polizia, sarebbero stati identificati grazie ai telefonini carbonizzati e sarebbero membri  del corpo militare Operazione Dignità capitanato dal generale Khalifa Haftar, l’oppositorfe al governo di Serraj. “L’obiettivo del fallito attentato contro l’ambasciata italiana era politico, minare la sicurezza nella capitale”, aveva detto il portavoce prima di aggiungere che uno dei tre, Omer Kabout, l’unico scampato e ora ricercato, avrebbe più volte ospitato a casa sua sostenitori del governo di Tobruk.

Nessuna rivendicazione. Per ora non ci sono state rivendicazioni da parte di Haftar. L’ex uomo di Gheddafi, a capo del governo di Tobruk, è in aperto contrasto con quello nazionale di Al Serraj sostenuto dall’Onu e ha più volte criticato l’Italia per aver scelto gli “interlocutori sbagliati”. In un’intervista al Corriere della Sera, il generale ha detto che è con lui che il nostro Paese avrebbe dovuto allearsi, dal momento che è più forte sul campo militare e gode del consenso dei libici per aver portato avanti la lotta contro l’Is.

La scelta. L’Italia ha invece scelto Al Serraj e a lui avrebbe garantito aiuti proprio in vista della riapertura dell’ambasciata. Un misto di fondi e mezzi che si sarebbero aggiunti a quelli forniti dalla Commissione Europea in previsione del blocco navale progettato dalla Commissione europea per fermare le partenze dei migranti. Haftar non è tuttavia stato l’unico ad accusare gli italiani.

Italia nel mirino. Khalifa Ghwell, l’ex primo ministro a capo del governo di salvezza nazionale, ha infatti detto che Roma sta occupando il paese e rema contro l’interesse libico. Non solo. Il generale non si è mai scontrato sul campo con altre forze internazionali. Secondo l’inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi, raggiunto telefonicamente a Misurata, le forze fedeli ad Al Serraj, potrebbero quindi aver strumentalizzato l’attentato per dare un colpo basso al loro avversario ed inasprire così una tensione che più volte ha rischiato di sfociare in una guerra civile. La soluzione militare non è tuttavia auspicata dai paesi vicini alla Libia. Riunitisi al Cairo il 21 Gennaio, Egitto, Tunisia, Algeria, Sudan, Ciad e Nigeria hanno nuovamente caldeggiato la riapertura del dialogo tra Al Serraj e Haftar, oramai interrotto da più di un anno.