Il Brasile si prepara per una sfida da cardiopalmo. Nulla è scontato nella corsa verso il potere che il 30 ottobre incoronerà Luiz Inacio Lula da Silva, ex presidente alla guida del partito dei lavoratori, o Jair Bolsonaro, attuale presidente ed esponente del partito liberale.
Il ballottaggio- Il 2 ottobre il primo turno elettorale ha assegnato a Lula un vantaggio del 48,4% contro il 43,2% di Bolsonaro. Una distanza percentuale che appare alta, ma che non deve far dimenticare l’astensionismo del 21%, elemento che potrebbe influire sul ballottaggio finale. A giocare un ruolo chiave saranno non solo la qualità delle proposte dei due candidati, ma anche l’eventuale adesione al cosiddetto “voto utile” invocato da Lula, come riporta Affari Internazionali.
Strategie – In una campagna elettorale caratterizzata da poche proposte concrete, ciascuno dei due candidati ha cercato di giocarsi le ultime carte nella speranza di raccogliere voti tra gli indecisi. Bolsonaro, sfruttando la sua attuale carica di presidente, ha aumentato, con una manovra da 7,5 miliardi, gli aiuti del governo per le famiglie più povere nella speranza di attirare gli elettori più vicini al suo avversario. Il sussidio, tuttavia, come riportato da Internazionale, è risultato insufficiente. Lula, dal canto suo, ha messo in campo alcune proposte per proteggere la foresta amazzonica, in contrapposizione con la politica di deforestazione attuata da Bolsonaro, e ha promesso di creare un ministero dei Popoli nativi e di circoscrivere i territori indigeni. La sua carta principale, però, è stata il richiamo al “voto utile” per «unire tutte le forze che abbiamo dalla nostra parte» e scongiurare il pericolo della rielezione di un governo conservatore, come riporta Nueva Sociedad.
I protagonisti – Lula, 76 anni, è esponente del partito dei lavoratori e punta alla terza presidenza. Ha governato il Brasile dal 2003 al 2010, lasciando il potere con una grande popolarità per via della sua politica attenta ai poveri, alle famiglie in difficoltà e all’ambiente. A gettare un’ombra sulla sua figura è stata l’inchiesta del 2016 in cui è stato indagato per corruzione e riciclaggio di denaro. Nello specifico, come ricorda Euronews, l’ex presidente è stato accusato di aver intrattenuto relazioni illecite con diverse aziende edilizie, offrendo favoritismi politici in cambio della disponibilità di alcune residenze. Lula si è sempre dichiarato innocente, puntando il dito contro quello che aveva definito un vero e proprio accanimento giudiziario. Nel 2017, Da Silva viene condannato in primo grado, dal giudice Sergio Moro, a nove anni e mezzo di carcere, restando libero in attesa dell’appello. In secondo grado, la pena viene aumentata fino a 12 anni di detenzione. Nel 2018, il capo dello Stato si consegna volontariamente alle forze dell’ordine, nonostante le proteste in piazza dei suoi sostenitori. Nello stesso anno, Bolsonaro, vista l’incandidabilità di Lula, vince le elezioni e nomina proprio Sergio Moro ministro della giustizia. Dopo quasi 600 giorni in carcere, Lula viene rilasciato per l’illegittimità costituzionale della sua detenzione e, secondo la Corte, per l’incompetenza del Tribunale federale.
Bolsonaro, 67 anni, ex capitano dell’esercito ed esponente del partito liberale, ha da sempre incentrato la sua politica sui valori morali (Dio, patria e famiglia) e sugli attacchi feroci al suo avversario per via delle vicende giudiziarie. Il suo mandato è stato caratterizzato da una gestione discutibile della pandemia, che ha provocato, come ricordava Ansa a marzo, 680.000 morti. Il numero così elevato e le sue scelte hanno portato una commissione d’inchiesta del Senato brasiliano ad accusarlo, nel 2021, di essere responsabile di nove reati, tra cui crimini contro l’umanità, falsificazione di documenti, uso irregolare di denaro pubblico e violazione delle misure sanitarie, come riportato da Il Post.