“L’accordo non onora il risultato del referendum”. Con queste parole, Ester McVey, ministra del lavoro, ha annunciato le proprie dimissioni dopo l’approvazione, il 14 novembre, della bozza di intesa sulla Brexit da parte del governo britannico. Prima di lei, nella mattinata del 15 novembre si erano dimessi Dominic Raab, ministro per la Brexit, e Shailesh Vara, sottosegretario per l’Irlanda del Nord. Da ultimo sono giunte anche le dimissioni di Suella Braverman, sottosegretaria con competenze sul difficile divorzio tra Regno Unito e Unione europea deciso dagli elettori britannici con il referendum del 23 giugno 2016.

Intesa e reazioni – La valanga di abbandoni nell’esecutivo guidato da Theresa May è stata provocata proprio dall’intesa raggiunta tra la premier inglese e Michel Barnier, capo dei negoziatori dell’Unione europea per la Brexit. Secondo i suoi critici, l’inquilina di Downing Street avrebbe fatto troppe concessioni all’Unione Europea. Soprattutto ha destato l’ira dei brexiteers duri e puri il fatto che il Regno Unito  rimarrà nell’unione doganale fino al raggiungimento di una soluzione riguardo al confine tra Irlanda e Irlanda del Nord, mentre quest’ultima continuerà a far parte del mercato unico. La bozza è stata approvata a fatica dal governo inglese dopo una riunione di sei ore ed è in corso la discussione alla Camera dei Comuni. Il documento è stato criticato non solo dai ministri e sottosegretari dimissionari, ma anche da Jeremy Corbyn, segretario dei laburisti, che ai Comuni ha parlato di «intesa flop» e, affermando che la May non ha consenso nel Paese, ha invitato a evitare «la falsa scelta fra un cattivo accordo e nessun accordo». Il Dup, il partito unionista irlandese, affermando che le promesse sono state violate, ha deciso di rompere con la May togliendo il fondamentale appoggio esterno al governo. Nigel Farage, eurodeputato populista dell’Ukip e tra i principali fautori della Brexit, dopo aver definito il risultato delle trattative come «il peggiore della storia», ha esultato per le dimissioni di Raab e ha invitato gli altri ministri brexiteer, favorevoli all’addio all’Ue, a dimettersi. L’Unione europea ha deciso di non commentare gli sviluppi politici in corso a Londra.

Le tappe della Brexit. Il 23 giugno 2016, con il 51,9%, il Sì ha vinto il referendum sulla Brexit, decretando l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Il 29 marzo 2017 è stato attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona: sono partite le procedure per abbandonare l’Ue, con due anni di tempo, quindi entro il 30 marzo 2019, per trovare un accordo. Vi sono due possibilità: la Soft Brexit e il No Deal. La prima prevede un’uscita dalla Ue tramite un accordo Uk-Ue, mentre la seconda un’uscita senza alcun tipo di accordo. Per giungere ad una Soft Brexit sono in corso negoziati soprattutto intorno ai due temi più importanti: la questione irlandese e il backstop. Il 13-14 dicembre è l’ultima data per raggiungere un accordo, dato che a Bruxelles vi sarà l’ultimo Consiglio europeo con il Regno Unito tra i partecipanti. In tale occasione dovrà essere approvato l’accordo con una supermaggioranza (20 membri su 27 e il 65% della popolazione europea rappresentata). Verso la tra fine di dicembre 2018 e l’inizio di gennaio 2019 l’accordo Uk-Ue dovrà essere approvato dal Parlamento europeo e dalla Camera dei Comuni britannica. Tra gennaio e febbraio 2019 il Regno Unito dovrà adattare la propria legislazione e il 30 marzo 2019 la Gran Bretagna sarà con un piede fuori dall’Europa perché, fino al 31 dicembre 2020, vi sarà un periodo di transizione di 20 mesi durante il quale Ue e Uk metteranno le relazioni commerciali. Durante la transizione ci sarà libera circolazione di cittadini e merci, ma nessun diritto di voto per la Gran Bretagna in seno agli organismi europei. Infine, il primo gennaio 2021 Londra sarà definitivamente fuori dall’Unione europea.