Theresa May non ha dubbi: «Restare nell’Ue non è un’opzione». La premier britannica, alle prese con la fase più difficile delle negoziazioni per l’addio all’Europa, boccia senza appello l’idea di un passo indietro. Forte delle dichiarazioni del negoziatore Ue Michel Barnier, che ha definito l’attuale accordo «l’unico possibile», è però stretta in Parlamento tra l’opposizione laburista, lo scontento di parte dei Conservatori e gli scenari economici funesti previsti per il dopo Brexit. May sta così vivendo ore di fuoco, mentre viaggia nel Regno Unito per spiegare ai cittadini l’accordo di uscita dall’Unione.
Pil in picchiata – Lo scorso 28 novembre il governo britannico ha pubblicato un rapporto che prevede quattro possibili scenari economici nei quali la Gran Bretagna potrebbe trovarsi dopo l’uscita dall’Unione. Anche nel migliore dei casi, l’impatto sul Pil, il Prodotto interno lordo, sarà negativo. Se dovesse passare la linea di Theresa May, la picchiata dell’economia nazionale si attesterebbe tra il 2,5% e il 3,9% in 15 anni. Ma se a prevalere fosse la linea dura, cioè la Brexit senza accordo, le stime minacciano un calo della crescita tra il 7% e il 9,3%. La Banca d’Inghilterra è stata ancora più pessimista: secondo l’istituto di emissione, un’uscita disordinata provocherebbe una recessione immediata, con Pil in calo dell’8%, svalutazione della sterlina del 25% e inflazione galoppante. Dura la replica dei falchi conservatori, che considerano l’accordo di May troppo mite, e che hanno bollato i rapporti della Banca nazionale come «operazione isteria».
Le proteste. Mercoledì 28 novembre molti cittadini sono scesi in piazza davanti al Parlamento di Westminster, per manifestare contro la Brexit e Theresa May. Uno striscione recava la scritta “Stop building borders” (“Basta costruire frontiere”). In Parlamento, May ha dovuto rispondere al question time del mercoledì, ribattendo alle stime di calo del Pil e garantendo che il Paese continuerà a crescere, sebbene a ritmi più bassi. Nella mattinata di giovedì 29 ha negato invece la possibilità di un nuovo referendum. «Sarebbe un tentativo di frustrare la Brexit. L’accordo sul tavolo è giusto perché rispetta il risultato del 2016».
Solo un accordo. Categorico anche il capo negoziatore dell’Ue Michel Barnier, che dopo la plenaria del Parlamento europeo tenutasi giovedì 29 novembre ha affermato: «Ora è il momento della ratifica dei Parlamenti ed è il momento di assumersi la propria responsabilità». Non ci saranno rivalse né rivincite, ha poi aggiunto. Il Regno Unito rimarrà alleato dell’Unione europea e partner commerciale. Nel frattempo, il Ministro degli esteri spagnolo Josep Borrell ha firmato quattro memorandum d’intesa per regolare la questione di Gibilterra. Dall’altra parte dell’oceano, ha parlato anche Donald Trump: «Accordo buono, ma per l’Ue. Il Regno Unito non sarà più in grado di commerciare con noi».