«Come se il Titanic votasse per chiedere all’iceberg di spostarsi». È un paragone beffardo, ma efficace, quello rilasciato al Guardian da un negoziatore europeo sul voto del Parlamento britannico per scongiurare una Brexit senza accordi. Nonostante ieri, 13 marzo, sia passata a Westminster, sede della Camera dei Comuni, la mozione per evitare un no-deal, l’opzione più catastrofica non può essere ancora scartata. Uscire con, o senza accordo con l’Unione Europea. Ulteriori alternative non sembrano contemplate, almeno per il momento. E visto che gli accordi di Theresa May continuano a non trovare una maggioranza parlamentare, lo scenario rimane indecifrabile.

L’unico spiraglio –  Oggi ci sarà a Londra il terzo voto consecutivo in tema Brexit, volto a chiedere all’Europa un‘estensione dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona, che regola la fuoriuscita di un Paese dall’Unione, ora prevista per il 29 marzo. In caso di approvazione, la palla passerebbe ai vertici continentali che, a questo punto, difficilmente si assumerebbero la responsabilità di una Hard Brexit. Il 21 marzo è prevista una riunione del Consiglio europeo, l’organo comprensivo di tutti i 27 leader dei Paesi membri. Per concedere la proroga servirebbe un’unanimità che, secondo quanto dichiarato stamani, 14 marzo, dal presidente dell’istituzione Donald Tusk, potrebbe essere scontata: «Chiederò a tutti di essere aperti per un’estensione lunga se il Regno Unito troverà necessario ripensare la propria strategia sulla Brexit e per costruire il consenso attorno a questa». Forti segnali di apertura, addirittura sulla lunghezza della proroga. Se, in un primo momento, si presupponeva un rinvio di appena 3 mesi per evitare al Regno Unito di dover partecipare alle prossime elezioni europee, in programma dal 26 al 30 maggio, sta ora prendendo piede l’ipotesi di un rinvio più consistente, che implicherebbe la partecipazione degli inglesi alle consultazioni elettorali ma, allo stesso tempo, una maggiore disponibilità di tempo per approvare l’accordo concordato tra la May e la Commissione Europea.

L’accordo della discordia – I vertici dell’Ue hanno già stabilito che non sono più disponibili a ritoccare ancora l’accordo di uscita concordato con la premier e respinto per la seconda volta, nella serata del 12 marzo, da una larghissima fetta parlamentare, dalle opposizioni ai conservatori più euroscettici, passando per il Dup, il partito unionista nordirlandese. La questione più dibattuta resta quella legata al backstop, il confine tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord,  con quest’ultima che teme un progressivo distacco dalla madrepatria inglese. La May, pur continuando a registrare sconfitte e divisioni all’interno del suo Partito Conservatore, tenterà di sottoporre ancora al Parlamento il medesimo accordo la prossima settimana. Sembra però improbabile che riesca a recuperare il numero di voti sufficiente per invertire la direzione di un vento a lei sfavorevole da ormai troppo tempo.

Ribaltoni politici? – Data l’instabilità cronica dell’attuale esecutivo, in caso di proroga lunga potrebbe farsi strada l’idea dello scioglimento del governo e del ritorno alle urne, così come invoca il leader del Partito Laburista, Jeremy Corbyn. Una pista, anche questa, dalla realizzazione complessa: la May non ha intenzione di dimettersi e vuole cocciutamente portare a compimento la sua missione, trascinando l’Inghilterra fuori dall’Europa con un accordo concordato tra le parti in causa. La sua posizione di forza è stata inoltre legittimata dalla sconfitta della mozione di sfiducia mossa ai suoi danni a gennaio, dopo che era stato bocciato per la prima volta l’accordo con l’Unione Europea. A ciò, aggiunge ulteriore confusione la posizione della forza laburista sull’argomento. Se Corbyn sembra essersi convinto solo da poco dell’eventuale necessità di chiedere un secondo referendum, nell’attuale parlamento non esistono maggioranze che possano condurre in porto soluzioni vincenti, dalla possibilità di una Soft Brexit, che faccia restare il Regno Unito nell’unione doganale, alla richiesta di una nuova consultazione popolare, che magari annulli l’esito del voto del giugno 2016. Forse la speranza segreta di Tusk quando parla di «ripensamento della strategia su Brexit».

No deal Tra difficoltà politiche, posizioni inconciliabili e veti vari, il no deal resta ancora sullo sfondo, spauracchio ineliminabile. Se il Consiglio Europeo non concedesse la proroga richiesta, se il Parlamento si opponesse ancora agli accordi, se lo stallo dovesse perpetrarsi all’infinito, l’addio all’Europa non regolamentato sarebbe realtà. Una crisi gigantesca che si ripercuoterebbe sullo status giuridico degli stranieri residenti oltremanica e degli inglesi negli Stati europei, sui controlli alle frontiere di merci e persone, sugli approvvigionamenti degli ospedali e sulle scorte dei supermercati. Il governo britannico sta provando a prevenire con l’annullamento di una serie di dazi sulle importazioni e con tutele per gli studenti.