“Il Regno Unito è libero di revocare unilateralmente la notifica della sua intenzione di ritirarsi dall’Unione Europea”. L’ha annunciato il 10 dicembre la Corte di giustizia dell’Unione Europea, alla vigilia del voto cruciale al Parlamento di Westminster, quello per la ratifica dell’accordo su Brexit tra il Primo Ministro Theresa May e l’Unione Europea.
La Corte Ue – I giudici di Lussemburgo, impegnati nel garantire che il diritto dell’UE venga interpretato e applicato allo stesso modo in tutti gli Stati membri, hanno stabilito che l’articolo 50 del Trattato di Lisbona (TUE), che consente a un Paese di uscire dall’UE, può essere da questo revocato senza il consenso degli altri componenti dell’Unione. Come ha dichiarato la Corte di Giustizia, “fintanto che l’accordo di ritiro concluso tra l’UE e i Paesi membri non è entrato in vigore”, o “finché non sia scaduto il periodo dei due anni dalla data” in cui uno Stato appartenente all’UE abbia notificato la propria intenzione di lasciarla”, quest’ultimo può recedere dal suo proposito iniziale. Il Regno Unito ha dunque tempo fino al 29 marzo 2019 per decidere se fare about face sulla Brexit e rimanere nell'”Unione in termini invariati quanto al suo statuto di Stato membro”.
I conservatori – Dura la reazione al verdetto dei giudici da parte della compagine conservatrice guidata da May: il ministro dell’Ambiente Michael Gove ha detto che la sentenza della Corte Europea “non altera il referendum del 2016, né la chiara volontà del governo di assicurare che il Regno Unito lasci l’UE il 29 marzo”. “Oltre diciassette milioni di persone hanno mandato un messaggio preciso” – ha spiegato Gove – “e questo significa che lasceremo anche la giurisdizione della Corte di Giustizia Europea”.
Il voto – Martedì 11 Theresa May punterà a ottenere il placet sull’accordo, ma c’è già aria di tensione all’interno del Partito conservatore, che potrebbe spaccarsi proprio sull’ipotesi di un secondo referendum per Brexit. Secondo il quotidiano “The Guardian”, l’inquilina di Downing Street è ormai “preparata a nuove dimissioni di ministri e collaboratori che vogliono un altro referendum” dopo quello del 24 giugno 2016, o che diffidano sulla validità dell’intesa raggiunta da May con l’Unione Europea. Quell’intesa, per molti, “non garantirà la Brexit”.