Theresa May si è salvata dalla ribellione interna. Dei 317 deputati conservatori britannici, 200 hanno confermato la sua leadership alla guida del partito. Addirittura un voto in più di quando subentrò a David Cameron in seguito alla vittoria del “Leave” al referendum del 2016. Ora, stando ai regolamenti interni al suo partito, non potrà essere rimossa almeno per un anno. UIn altre parole, la Brexit porterà comunque la sua firma. Il risultato del 12 dicembre è stato portato a casa dalla premier in difficoltà grazie a una duplice strategia. Innanzitutto May ha trasformato un voto su di lei in un voto sulla Brexit. Alla data fatidica, prevista per il 29 marzo, manca poco tempo e un cambio di leadership a questo punto avrebbe significato un salto nel vuoto. I tempi necessari all’insediamento di un nuovo leader avrebbero imposto di rinviare o revocare l’ applicazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, quello che disciplina la procedura di uscita di uno Stato membro.
In secondo luogo May ha rassicurato i – tanti – deputati ed elettori che chiedono a gran voce un cambio di passo post Brexit, dichiarando che non sarà lei a guidare i conservatori al voto nel 2022. In molti, sia tra gli euroscettici che tra i rivali interni, non si considerano però sconfitti. I 117 voti a sfavore sono comunque significativi di un forte dissenso e c’è chi, come il conservatore e brexiter convinto Peter Bone, consiglia alla premier di valutare seriamente le ipotesi di dimissioni.

L’incerto futuro dell’ accordo – Rimane comunque fortemente incerto il percorso della Brexit. Perchè, a conti fatti, ai Comuni non vi è alcuna maggioranza: né sull’accordo May, né su un possibile piano più soft in stile Norvegia, né su un secondo referendum e tanto meno per il ‘no deal’, l’uscita senza accordo considerata da tutti l’ipotesi più dannosa. L’accordo raggiunto dalla premier è un compromesso che continua a non piacere a nessuno. La battaglia in Parlamento si profila dunque ancora più dura di quella vinta ieri sera. Il voto, già rimandato, è ora slittato a dopo il 7 gennaio 2019. Entro tale data May spera di risolvere uno dei punti più caldi della Brexit, quello sul backstop, meccanismo che deve impedire il ritorno di barriere al confine con l’Irlanda.
Poi c’è l’Unione. Reduce dal tour europeo della settimana scorsa, oggi, 13 dicembre, il premier britannico è impegnato in un vertice bilaterale con Donal Tusk, presidente del Consiglio Europeo, in vista del Consiglio previsto per il pomeriggio. I 27 temono uno scenario alla Cameron e ribadiscono che un accordo di 585 pagine, frutto di due anni di trattative, non si riscrive. Per evitare una rottura troppo drammatica, che nessuno vuole, da Bruxelles trapela che i leader europei sarebbero però disposti a rinviare di qualche settimana la Brexit rispetto al 29 marzo. Non troppo però, perchè a maggio si terranno le europee e se la Gran Bretagna fosse ancora stato membro si creerebbe uno scenario giuridico-legale mai visto prima.