Gli spari. Il caos. Le smentite (forse) false. Nonostante il ministro della Difesa Aime Barthélémy Simporé abbia negato in diretta televisiva che si possa trattare di un colpo di stato, gli spari di domenica sera nei pressi della residenza del presidente del Burkina Faso sembrano un segnale inequivocabile di un vero e proprio golpe. Secondo alcune fonti, non confermate ufficialmente, il presidente africano Roch Marc Christian Kabore al momento si troverebbe nelle mani degli insorti. La tensione è esplosa sabato 22 gennaio, giorno in cui, nella capitale Ouagadougou, gli agenti in tenuta antisommossa hanno disperso la folla che si era radunata per protestare contro l’insicurezza causata dalla violenza jihadista. Dopo il lancio di lacrimogeni la situazione è sfuggita di mano: i manifestanti hanno costruito alcune barricate in legno e dato fuoco a pneumatici. Una dozzina gli arresti, oltre a un giornalista ferito.

La reazione – Sin dalle prime luci dell’alba di domenica, sono stati uditi colpi di arma da fuoco provenire dalla caserme della capitale. Tra i luoghi colpiti anche il campo militare in cui sono detenute le persone considerate responsabili del tentativo di colpo di stato del 2015. Secondo fonti governative, si sarebbe verificato un ammutinamento dei soldati che chiedono più tutele contro l’escalation della violenza islamica: la priorità è la riforma dell’esercito, cui dovrebbe fare seguito una migliore assistenza a favore dei feriti e delle famiglie delle vittime. Il governo ha invitato la popolazione a mantenere la calma. Era da tempo che il presidente Kabore fronteggiava il malcontento dalla popolazione che non ha mai smesso di contestare la sua rielezione avvenuta nel 2020. In un ultimo tentativo di prendere in mano la situazione, il mese scorso il leader aveva licenziato il suo primo ministro e sostituito gran parte dei membri del governo.

Al-Qaeda – Le proteste che stanno infiammando il Paese sono un’iniziativa di alcuni gruppi della società civile che si fanno portavoce della paura della popolazione a fronte dei crescenti attacchi di matrice islamista. Al-Qaeda semina il terrore dal 2015, anno della prima elezione di Kabore. I responsabili sono i gruppi affiliati sia alla rete terroristica fondata da Osama Bin Laden che all’organizzazione dello Stato Islamico (Isis). Gli attacchi interessano soprattutto la parte settentrionale del Paese, il Sahel, ma con attentati e violenze anche nelle regioni vicine e, dal 2018, nelle zone orientali. Secondo le cifre del governo burkinabè, l’insicurezza ha fatto salire il numero degli sfollati interni a 1,5 milioni e la violenza jihadista ha finora causato più di 2.000 morti in un Paese già afflitto dalle conseguenza della povertà.