Regole più chiare, libera scelta e attenzione verso le famiglie non tradizionali: in Germania è entrato nel vivo il dibattito sulla possibilità per i cittadini di cambiare nome e cognome. L’idea è nata da una convergenza di interessi dei ministri federali degli Interni, Horst Lorenz Seehofer, e della Giustizia, Heiko Maas, che ormai due anni fa avevano richiesto a una commissione di esperti di formulare delle proposte per il cambiamento di nome e cognome. Il piano “rivoluzionario” era già stato ultimato a fine marzo, ma a causa dello scoppio dell’emergenza sanitaria da Coronavirus solo adesso gli è stata riservata la giusta attenzione.

Le regole – Il cambio di cognome trattato nell’ambito del diritto di famiglia tedesco è sempre stato considerato molto complesso e queste nuove norme, se approvate, comporterebbero una semplificazione notevole, oltre a un ampio spazio alla libera scelta dell’individuo. Oggi il diritto prevede che tra coniugi solo uno possa assumere il doppio cognome, ma se la proposta dovesse essere accettata lo potrebbero fare entrambi. In verità, ognuno sarebbe libero di scegliere di cambiare nome e cognome anche solo per capriccio. Le condizioni perché questo possa avvenire sono tre: in primo luogo, il richiedente dovrebbe avere più di sedici anni. In secondo luogo, la richiesta potrebbe essere avanzata solo una volta ogni dieci anni e, infine, come riporta il Corriere.it, «l’interesse pubblico al mantenimento dell’attuale cognome non dovrà essere superiore a quello dell’interessato a cambiarlo».

Il dibattito – L’intenzione dei due ministri Seehofer e Maas sarebbe quella di creare un dibattito che coinvolgesse tutto il Paese. Nella loro visione, tutti i cittadini dovrebbero esprimere la loro opinione sul tema e dovrebbero far pervenire impressioni e critiche costruttive alla commissione incaricata. Il tutto dovrebbe avvenire prima che nel 2021 la nuova legislatura avvii le riforme relative al diritto di famiglia. Le opinioni all’interno del governo sono complessivamente positive. Da un lato c’è chi, come l’esperta in materia Eva Högl, della Spd, apprezza la semplificazione di una materia molto complessa. Dall’altro, qualcuno come il portavoce della Cdu per i diritti politici Jan-Marco Luczak esprime perplessità: sebbene ritenga positiva la liberalizzazione dei diritti, si è detto scettico di fronte alla possibilità che il cambiamento possa essere fatto ogni dieci anni.

I risvolti psicologici –  «Il nome ha un peso enorme. Basti pensare al nome del nonno che passa al figlio, e che in certi casi porta con sé un carico di responsabilità. Attraverso il nome ci facciamo portatori di un messaggio generazionale – spiega lo psicologo e psicoterapeuta Antonio Fresco, specializzato in psicologia cognitiva – Mi è capitato di trattare un solo paziente che si trovava in estrema difficoltà a mantenere il nome di famiglia. In ottica simbolica il proprio cognome è riconducibile all’appartenenza a una stirpe, e il volersene separare deriva dal non sentirsi riconosciuti all’interno di quel clan e dal sistema di credenze che lo caratterizza. È come quando una regione decide di dare il via a una guerra di secessione da una Nazione. Rinunciare al cognome è una evoluzione identitaria: non mi riconosco in quella famiglia e rinuncio al mio cognome». Ma dietro a una simile scelta possono esserci anche cause diverse dai problemi familiari: «Il nome può essere fonte di prese in giro, storpiature, nomignoli che in un momento di vulnerabilità, come la pubertà, può essere molto traumatico – spiega Fresco – In quel caso, la persona associa al nome la presa in giro e decide di separarsene, come si fa con un intervento chirurgico». Il problema, però, può presentarsi nel caso in cui dietro a questa scelta non ci sia un adeguato percorso di terapia. «Bisogna valutare se la rottura si porti dietro una mancata elaborazione delle cause che l’hanno generata – continua Fresco – in quel caso, il cambio di nome e cognome equivarrebbe a tagliare un albero in superficie, senza estirpare le radici». In alcuni casi, la scelta di cambiare nome rappresenta una vittoria personale. «Può accadere ad esempio che chi ha subito ingiustizie in famiglia, o subito violenze, dopo un lavoro con uno specialista arrivi ad attribuire le giuste responsabilità – continua Fresco – e decida di sancire la liberazione da questo peso e dal passato con il cambiamento del cognome».