«Non dimenticatevi di Aleppo» ha urlato Mevlut Mert Altintas dopo aver ucciso l’ambasciatore russo ad Ankara, Andrey Karlov. E proprio ad Aleppo, in quelle ore, l’emorragia di civili continuava a fluire dal quartiere Est, riconquistato dall’esercito di Bashar al-Assad e degli alleati russi. Poche ore e la macchina diplomatica russa ha ripreso a funzionare a pieno regime: è previsto un incontro trilaterale tra Mosca e gli inviati di Turchia e Iran. Anche le Nazioni Unite sono intervenute: una risoluzione del Consiglio di Sicurezza votata all’unanimità lunedì 19 dicembre, ha deciso l’invio di osservatori imparziali per monitorare le operazioni di evacuazione di Aleppo Est. Molte critiche erano già state mosse all’inazione Onu sul conflitto siriano e alcuni hanno paragonato Aleppo a Srebrenica, la città dove centinaia di musulmani bosniaci vennero trucidati sotto gli occhi dei caschi blu dell’Onu, nel 1995.
Il 15 dicembre Aleppo Est è stata riconquistata dalle forze governative del dittatore Bashar al-Assad. Da quel momento è iniziata la fuga dei civili dalla zona est della città, fino ad allora in mano ai ribelli. Al Jazeera, riportando informazioni della Croce Rossa Internazionale, dice che finora sarebbero state evacuate 25 mila persone. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, invece, parla di 14 mila rifugiati da giovedì 15. Intanto anche a Damasco riprendono le violenze: dopo la riconquista di Palmira da parte dell’Isis, 23 soldati del governo siriano sarebbero stati uccisi in un attacco nella mattina di martedì 20 dicembre.
Dilaniata da una guerra civile scoppiata nel 2011, l’anno delle Primavere Arabe, la Siria è sprofondata ormai nel caos. Aleppo è sotto assedio dal 2012: quattro anni di inferno, in un’escalation di violenza senza precedenti. Da allora lo scontro tra forze lealiste, i fedeli di Assad appoggiati dai raid aerei russi, e le forze di opposizione al regime, tra cui jihadisti legati all’Isis, hanno provocato uno dei conflitti più sanguinosi degli ultimi decenni. In una situazione sempre più anarchica, le poche informazioni disponibili provengono da piccole Ong e descrivono una città in cui manca tutto e i morti non si contano più.
Gli ultimi attivisti hanno lanciato il loro appello giovedì 15 dicembre, denunciando la devastazione dei bombardamenti filo-Assad, l’assenza di viveri e il timore di rappresaglie contro i civili da parte delle forze lealiste. Mezzi di soccorso hanno cominciato ad affluire ad Aleppo Est, ma la situazione è ancora critica: il primo coprifuoco è già saltato e non s’intravede nessuna rapida soluzione del conflitto.
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Anche la piccola Bana Alabed, che ha twittato gli orrori della guerra in diretta, ha annunciato di essere in salvo, in fuga da Aleppo Est, dove ha vissuto con la madre Fatemah fino al 15 dicembre. Definite dal regime di Assad il prodotto di un falso profilo Twitter, le micro-cronache di guerra della piccola Bana sono rimbalzate su tutti i media internazionali, amplificando la voce dei civili rimasti intrappolati nella morsa dell’assedio di Aleppo. Il giorno dopo la presa di Aleppo Est, Bana ha lanciato un appello al presidente Usa uscente Obama per trovare una soluzione finale al dramma siriano.
@AlabedBana and her mother make an somber, urgent plea to Michelle Obama @FLOTUS to help them make it safely out of east #Aleppo. pic.twitter.com/GlTd7O4ONQ
— Richard Engel (@RichardEngel) December 16, 2016