«Non abbiamo aspettative, noi pretendiamo verità e giustizia, come azioni concrete. Pensiamo sia oltraggioso questo mantra sulla collaborazione egiziana che invece è totalmente inesistente», queste le parole dei genitori di Giulio Regeni in merito all’azione del governo italiano. Dichiarazioni rilasciate a seguito del rientro del Ministro degli Esteri Tajani dal Cairo, dove si era recato per vedere il presidente egiziano al-Sisi. Un incontro bilaterale al termine del quale Tajani dichiara in conferenza stampa: «Abbiamo affrontato le questioni Regeni e Zaki. Ho chiesto collaborazione da parte egiziana, mi hanno assicurato che tutti gli ostacoli verranno rimossi, senza alcuna reticenza. È stato il presidente al-Sisi a dirmi per primo che toglierà tutti gli ostacoli per una collaborazione proficua tra i nostri due Paesi». Le parole del vicepremier e capo della Farnesina hanno suscitato il dissenso dei genitori di Regeni e molte polemiche da parte dell’opposizione politica italiana.

L’incontro –  Il primo bilaterale Italia-Egitto dopo cinque anni si è proposto di affrontare un «dialogo necessario», dice il ministro Tajani, in tema di sicurezza energetica, cooperazione economica e stabilità nel Mediterraneo. Sul tavolo la crisi libica e i flussi migratori causati da questa, ma soprattutto l’azione dell’Egitto, che ancora una volta risulta fondamentale per trovare una soluzione alle partenze illegali dall’Africa. Arriva dopo tutti questi temi politici ed economici il dossier diritti umani e i due casi irrisolti tra Italia ed Egitto: quelli che riguardano i due studenti Regeni e Zaki.

La reazione-  «Tajani non riesce a dire la verità. Difficile capire quali siano i motivi della soddisfazione espressa dal nostro ministro degli Esteri», sottolinea Lia Quartapelle, responsabile Europa, Affari internazionali e Cooperazione allo sviluppo del Pd in merito all’incontro con al-Sisi e alle mancate risposte sull’uccisione di Giulio Regeni. Sempre dal Pd, l’eurodeputata Alessandra Moretti: «Intollerabile continuare a stringersi le mani con un paese che fa dell’omertà sulla scomparsa di un ragazzo la propria regola. Chi tace di fronte a tanta ipocrisia, acconsente». «Ma con quale faccia l’attuale ministro degli Esteri va a dire pubblicamente che l’Egitto rassicura che sarà fatta giustizia sull’omicidio di Giulio Regeni? Ma in questi sette anni non sa cosa è accaduto? Non conosce i depistaggi, le false informazioni, i boicottaggi nelle indagini da parte del Cairo che hanno impedito e impediscono alla magistratura italiana di proseguire nel processo contro gli ufficiali egiziani responsabili dell’omicidio?», ha twittato Nicola Fratoianni, parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra.

I genitori di Giulio rinfacciano allo stato Italiano «tutte le promesse mancate, l’ipocrisia, le strette di mani come mera esibizione e la chiara prevalenza degli interessi sulla tutela dei diritti umani». Claudio e Paola aggiungono: «La realpolitik non può sconfinare nella complicità con i dittatori». Dopo le polemiche Tajani ha dichiarato: «Io voglio essere ottimista, questo non significa che va bene così, continueremo a monitorare ma mi sembra di avere intravisto una disponibilità nuova da parte egiziana».

Il caso Regeni  Secondo le ricostruzioni della Procura della Repubblica di Roma, le responsabilità del sequestro, della tortura e dell’uccisione di Giulio Regeni graverebbe direttamente sugli apparati di sicurezza della Repubblica araba d’Egitto, e in particolare su ufficiali della National Security Agency (NSA). Il movente sarebbe stato il sospetto, da parte degli agenti egiziani, che Giulio volesse finanziare una rivoluzione. Il caso Regeni ha visto susseguirsi smentite, depistaggi, indagini giudiziarie e giornalistiche, ipotesi di complotti, silenzi e accuse politiche. Il 14 Ottobre 2021 si è aperto il processo per l’omicidio di Giulio Regeni, un processo caratterizzato dall’assenza dei quattro imputati egiziani che vede il governo italiano come parte civile. Un processo contro le forze di sicurezza egiziane che si inserisce in un quadro più ampio di abusi che, secondo un rapporto delle organizzazioni per i diritti umani Dignity e Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), sono diventati non solo sistematici ma sistemici.  Il 15 aprile 2022 si è svolta l’ultima azione per risolvere le indagini, una rogatoria agli Usa per cercare di rintracciare i colpevoli sui social. Scavando nei profili ipoteticamente associabili agli imputati, sarebbe stato possibile risalire alle «informazioni anagrafiche e ai log files associati agli account di interesse » scrive il Corriere della Sera. Il 15 luglio 2022 la Corte di Cassazione sospende il processo. Nonostante la dura battaglia dei genitori, le petizioni e la spinta dell’opinione pubblica, la verità completa sui motivi dell’uccisione di Giulio non è conosciuta e i suoi assassini circolano ancora impuniti.

Il caso Zaki – Durante il bilaterale tra Tajani e al-Sisi è stato citato anche il caso Patrick Zaki, giovane arrestato il 7 febbraio 2020 con l’accusa di diffusione di notizie false e attentato alla sicurezza nazionale per dei post su Facebook. Zaki è stato un prigioniero di coscienza, detenuto per il suo lavoro svolto in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media. Nonostante sia stato rilasciato l’8 dicembre 2021, il ragazzo non può lasciare l’Egitto.