Venire arrestati perché un algoritmo afferma che si potrebbe in futuro commettere un crimine. Non è il film Minority Report di Spielberg, ma la regione cinese dello Xinjiang, dove dal 2017 il governo di Pechino sta conducendo, secondo organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch, una repressione sistematica degli uiguri, minoranza turkmena di religione musulmana. Il network giornalistico International Consortium of Investigative Journalists (Icij) ha dichiarato di aver ricevuto una serie di documenti segreti delle autorità cinesi, ridenominati China cable, contenenti direttive sulla gestione dei campi di internamento nella regione e sulla Integrated Joint Operations Platform (Ijop), il sistema computerizzato di controllo dei cittadini. La Cina non nega l’esistenza dei campi, ma afferma si tratti di campi di istruzione e formazione volontarie contro la minaccia terroristica.

L’algoritmo dietro agli arresti – I documenti di una riunione dell’intelligence cinese pubblicati dal Icij svelano l’esistenza della Ijop, una piattaforma informatica in cui confluiscono tutti i dati sulla popolazione uigura raccolti dalle attività di polizia, dalle onnipresenti telecamere, dai checkpoint nelle strade, dal controllo segreto dei cellulari e la sorveglianza degli accessi Wifi. Una volta raccolti i dati, gli algoritmi elaborano in automatico una lista di persone potenzialmente inclini a commettere azioni antigovernative. Sulla base di queste liste, i sospettati verrebbero arrestati in massa e destinati ai campi di rieducazione. Dalle carte sembra che in una sola settimana di giugno 2017 siano state arrestate grazie alle segnalazioni di Ijop oltre 16mila persone; soltanto a 706 sarebbero state mosse accuse formali. Secondo Samantha Hoffman, analista al Australian Strategic Policy Institute, lo scopo del sistema non è solo quello di prevenire attività considerate “criminose” dalle autorità. «Il terrorismo di Stato funziona così – ha affermato Hoffman –  La paura deriva dal fatto che non puoi sapere quando non sei più ok».  Analizzando copie dell’app usata dalla polizia per comunicare con la piattaforma, sembra venga raccolto ogni tipo di dato: altezza, gruppo sanguigno, patente di guida, viaggi all’estero, istruzione e professione, perfino quanto spesso si usa la porta sul retro per entrare in casa propria. Una grossa parte della segnalazioni viene dall’uso dell’app Zapya, che incoraggia gli utenti a scaricare copie digitali del Corano e condividere insegnamenti religiosi. L’app è stata sviluppata da una start-up di Pechino.

Nuove rivelazioni sui campi – I China cables del Icij, certificati come autentici da esperti e linguisti, sarebbero il primo documento a provare le privazioni dei diritti umani all’interno dei campi cinesi, dopo che negli scorsi due anni la comunità internazionale si era basata su testimonianze di ex-internati e immagini satellitari. Il testo di nove pagine approvato da Zhu Hailun, capo della sicurezza nella regione, dichiara che lo scopo supremo dei campi è l’indottrinamento e che si deve procedere all’internamento al minimo sospetto. Si ordina di prevenire fughe degli “studenti” – così vengono chiamati gli internati – e di adottare sistemi di sicurezza come posti di guardia, pattuglie e allarmi. È adottato un sistema di premi e punizioni in base alla disciplina tenuta dagli “studenti”, che determina se è possibile contattare i familiari e i tempi di rilascio. Sebbene il testo raccomandi di garantire la pulizia e la buona salute degli internati, evitando testualmente «tassi di mortalità anomali», i testimoni parlano di torture, pestaggi, stupri e un numero «sconosciuto» di decessi. Anche l’indicazione di permettere regolarmente telefonate sia audio sia video è in contrasto con le proteste di numerosi uiguri all’estero che lamentano la sparizione senza lasciare traccia dei loro familiari.

Sorveglianza anche all’estero – Dalle carte dei servizi segreti cinesi pubblicate dal Icij emergerebbe come anche gli uiguri all’estero siano tenuti sotto controllo. Anche la rete di ambasciate e consolati cinesi fornirebbe dati alla piattaforma Ijop su qualunque uiguro di cittadinanza cinese che si rivolga a loro per visti, documenti o altre formalità. Residenti all’estero affermano di aver saputo che i loro familiari siano stati interrogati dalle forze dell’ordine cinesi in base alle loro attività in altri Paesi. Ijop avrebbe stilato una lista di oltre 4mila persone da internare al momento del loro ritorno in Cina. Ai regimi autoritari in buoni rapporti con Pechino è richiesto di collaborare alla repressione. Nel luglio 2017 l’Egitto avrebbe rispedito in Xinjiang dodici studenti uiguri della Al-Azhar University, una delle principali istituzioni culturali dell’Islam sunnita, e incarcerati o indagati dozzine di altri. Non solo i cittadini cinesi all’estero, ma anche i cittadini stranieri in Cina: nelle liste di Ijop ci sarebbero anche circa 1.500 stranieri che hanno fatto richiesta di un visto per la Cina. Di questi 75 erano nel Paese asiatico al momento della stesura del documento e si dava ordine di trovarli, investigarli e sembrerebbe in certi casi internarli senza riguardo per il Paese d’origine. Di questi 75, cinque venivano dagli Stati Uniti e dodici dall’Unione Europea.

La versione di Pechino – Dopo che l’esistenza dei campi era venuta alla luce grazie alle immagini satellitari a pochi mesi dalla loro istituzione, nel 2017 il governatore della regione Shohrat Zakir ha confermato l’esistenza di “istituti di formazione professionale” aventi lo scopo di de-radicalizzare i sospetti di terrorismo e visioni estremiste. Contattate dai giornalisti del Guardian, le autorità cinesi hanno smentito tutte le ricostruzioni dei China Cables. Nelle parole dell’ambasciata a Londra «non esistono cosiddetti “campi di detenzione” in Xinjiang, bensì centri di formazione e istruzione stabiliti per la prevenzione del terrorismo». Il comunicato ufficiale prosegue affermando: «Lo Xinjiang è una bellissima, pacifica e prospera regione della Cina. Così non era tre anni fa», facendo riferimento alla crescita del terrorismo islamista, responsabile per attacchi dinamitardi in altre regioni cinesi e di disordini nel capoluogo Urumqi che hanno portato al linciaggi di centinaia di cinesi di etnia Han, quella dominante nel Paese ma minoritaria nell’ovest musulmano. Dozzine di uiguri sarebbero poi emigrati per unirsi a Daesh in Medio Oriente. Dall’ambasciata si proclama poi che «la libertà degli “studenti” è pienamente garantita […] gli “studenti” imparano qualifiche professionali e conoscenza legali per vivere del loro lavoro». Il comunicato stampa si conclude ricordando che il turismo nella regione «ora pacificata» è cresciuto del 40% e il pil è in crescita del 6% e che sono stati emessi dal governo di Pechino numerosi comunicati per far conoscere meglio i «centri di formazione».