Joe Biden in Cina

Il vicepresidente Usa Joe Biden incontra il vicepresidente Li Yuanchao durante la visita del 4 dicembre 2013 in Cina (Official White House Photo by David Lienemann)

La Cina non ha più nessuna difficoltà a ricevere l’inchino rituale da Washington. Il dialogo tra Stati Uniti e Pechino oggi è più fitto di un tempo, ma dall’economia alle contese territoriali, la tensione è sempre molto alta. E c’è chi dice che potrebbe anche portare a una nuova Guerra Fredda.

Solo a dicembre la stretta di mano tra il vicepresidente Joe Biden e il presidente della Repubblica popolare Xi Jinping a Pechino sembrava un segnale di distensione. E la dimostrazione che gli Stati Uniti avessero ormai identificato nella Cina un imprescindibile interlocutore, soprattutto per le questioni economiche. D’altra parte anche sulle contese territoriali la linea di Washington era sempre stata quella del compromesso.

Se è vero che fino a questo punto i rapporti commerciali hanno tenuto insieme i due Paesi in un matrimonio di interesse, è anche vero però che la situazione sta cambiando. Pechino, forte dei vantaggi, dei guadagni e della potenza ottenuta proprio grazie al rapporto con Washington nell’arco degli ultimi trent’anni, potrebbe presto mirare al predominio assoluto.

L’inizio ufficiale delle relazioni internazionali tra Usa e Cina è datato 1979, con l’apertura della prima sede diplomatica a stelle e strisce nella capitale cinese. Fin dall’inizio ci sono delle difficoltà, anche solo dal punto di vista linguistico. I diplomatici americani sono abituati a mantenere relazioni con l’Unione Sovietica, ma gli atteggiamenti e perfino le espressioni linguistiche che andavano bene per i russi non funzionano più. Lo testimonia un racconto di Alessandra Lavagnino, per quattro anni consulente all’ambasciata d’Italia a Pechino e oggi docente di sinologia all’Università degli Studi di Milano. «Era il 1998 e l’allora presidente Clinton venne a Pechino», racconta Lavagnino, che in Cina curava i rapporti con la stampa. «L’interprete di Clinton era un cinese americano molto competente, ma poco consapevole delle formule politiche usate dai cinesi e ancora legato alle parole degli anni Quaranta. Un esempio? Usava espressioni come “strategia del contenimento” tipiche del clima della Guerra Fredda».

Con il tempo Stati Uniti e Cina hanno capito di non poter fare a meno l’uno dell’altra. Se negli anni Sessanta John Kennedy aveva mantenuto lo sguardo fisso sull’Europa, gli altri presidenti, da Harry Truman a Lyndon Johnson, avevano cominciato invece a porre le basi per lo spostamento dell’asse verso Est. Oggi il processo è completo. «Noi competeremo con la Cina in alcune aree e coopereremo in altre», annunciava già durante la prima campagna elettorale Barack Obama.

La cooperazione economica conviene ad entrambi. E i vantaggi materiali hanno convinto anche la Cina a sorvolare su alcune sfumature diplomatiche. «Pechino è il secondo partner commerciale degli Stati Uniti dopo l’Europa», spiega Luca Bellocchio, ricercatore di scienze politiche internazionali a Milano. «In cambio la Cina si è impegnata a comprare buona parte del debito pubblico statunitense. Questa interdipendenza ha finora impedito una guerra tra i due Paesi, ma con un opportuno casus belli si potrebbe facilmente arrivare alla rissa. Basta un incidente, una partita minore».

È veramente possibile un conflitto tra Usa e Cina? Lo scenario fa di sicuro paura, anche se non è probabile per il futuro immediato. Oggi Pechino partirebbe molto svantaggiata in un eventuale conflitto. Tanto per cominciare è praticamente accerchiata da Paesi alleati degli Stati Uniti, e in caso di guerra potrebbe contare solo sul sostegno della Corea del Nord, del Laos e della Cambogia. Poi la Cina, al contrario del suo avversario, non ha un arsenale nucleare.

Ma tra un decennio la situazione potrebbe essere molto diversa. «Credo che nei prossimi anni dovremo abituarci a convivere con la tensione», avverte Romeo Orlandi, vicepresidente dell’Osservatorio Asia, l’ente bolognese che analizza i rapporti economici e imprenditoriali tra l’Italia e l’Asia orientale. «Fino a oggi il matrimonio d’interesse ha funzionato: gli Stati Uniti si sono arricchiti grazie alla delocalizzazione, la Cina grazie agli investimenti americani. Per questo ora è pronta a sgomitare per diventare la numero uno».

Non a caso spende quasi tutti i suoi guadagni in armamenti, cercando di trasformarsi da potenza economica a potenza militare. «Quella tra Cina e Usa potrebbe essere una nuova Guerra Fredda, questa volta per motivi commerciali e non ideologici», conclude Orlandi.

Giuliana Gambuzza
Lucia Maffei