Cessate il fuoco, ma solo a Gaza. Sono almeno 13 i morti a seguito degli attacchi israeliani a Jenin, città a nord della Cisgiordania, rivolti contro l’ospedale governativo e il campo profughi della città. L’assalto rientra nell’operazione anti-terrorismo denominata “Muro di ferro”, avviata martedì 21 gennaio – due giorni dopo lo stop ai combattimenti nella Striscia – dall’esercito israeliano (Idf) e da lo Shin Beth, l’agenzia di intelligence per gli affari interni. Gli obiettivi sono colpire i territori occupati dai palestinesi e garantire la sicurezza dei coloni. La novità sorprendente è che, nella lotta al terrorismo islamico, l’Autorità palestinese (Anp) sta affiancando Israele in quella che il Sole 24 Ore definisce una «guerra parallela» contro Hamas.

La città – Jenin è ufficialmente controllata dall’Autorità palestinese, secondo gli accordi di Oslo del 1993. Le autorità israeliane considerano la città come un fortino per il cosiddetto Battaglione Jenin, coalizione di gruppi terroristici tra cui Jihad Islamica e Hamas. Inoltre, negli ultimi anni la zona ha visto il proliferare di gruppi armati, spesso indipendenti rispetto alle altre organizzazioni terroristiche. L’operazione sarebbe quindi connessa con il cessate il fuoco occorso a Gaza il 19 gennaio: fra i prigionieri palestinesi rilasciati vi sono 200 condannati per attentati. L’Idf teme che ora possano unirsi ai gruppi clandestini operanti in Cisgiordania. Sulla base di queste preoccupazioni, l’esercito israeliano è entrato in città distruggendo le strade che portano al campo profughi e alla struttura sanitaria con dei bulldozer. L’Internazionale ritiene l’assalto un esplicito «atto di sfiducia nei confronti dell’Autorità palestinese». Nella giornata di giovedì 23 gennaio, centinaia di persone stanno abbandonando il campo, dopo l’ordine di evacuazione da parte delle forze israeliane.

La guerra parallela – A combattere il Battaglione Jenin non solo il premier israeliano Benjamin Netanyahu ma anche l’89enne Abu Mazen, presidente della Palestina dal 2005. Già a inizio dicembre, l’assalto allo stesso campo profughi era stato condotto dall’Anp con l’intento di far consegnare le armi ai miliziani. Per persuaderli le forze di sicurezza palestinese avevano tagliato acqua e luce agli abitanti, senza però ottenere alcun risultato. Si era infatti reso necessario l’intervento dell’esercito israeliano, ma la sensazione è che da quel momento l’Anp operi in Cisgiordania coordinandosi con l’Idf. Ansa riporta le dichiarazioni di Hamas, che accusa l’Autorità di aver «sparso sangue palestinese» e invita le proprie fazioni a intensificare gli scontri «in tutti i punti di contatto e ai posti di blocco militari». Si tratta di un avvenimento storico, la coalizione Idf-Anp, che minaccia di spaccare in maniera definitiva la società palestinese. Se i sostenitori di Abu Mazen supportano le operazioni anti-terrorismo, in Cisgiordania il fronte di Hamas non è mai stato così popolare. Gli uomini dell’Autorità sono ora considerati traditori, mentre la Jihad Islamica recluta giovani fin dai 16 anni, con la sola prospettiva di combattere e morire.

La tregua – Gaza rimane comunque il fulcro dell’attenzione internazionale. A pochi giorni dall’annuncio del cessate il fuoco e dello scambio di ostaggi, le crescenti tensioni a Jenin dimostrano come la tregua sia fragile. L’analista dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) Sara Leykin, intervistata da Il Giorno, dichiara che «questa operazione è una concessione di Netanyahu alla componente di destra radicale del suo governo». Il premier punta a mantenersi vicino il ministro delle finanze Bazalel Smotrich, che ha minacciato le proprie dimissioni nel caso in cui il cessate il fuoco dovesse entrare nella seconda fase. Il progetto di continua colonizzazione della Cisgiordania continua, con Donald Trump che ha strizzato l’occhio agli estremisti israeliani annullando le sanzioni imposte contro di loro dall’amministrazione Biden.