I meteorologi non hanno più colori per indicare la scala cromatica delle temperature: ormai dal rosso si passa al violetto. Il surriscaldamento globale infatti prosegue la sua corsa: questa che è appena iniziata sarà la settimana più calda che l’Australia abbia mai vissuto. Il termometro andrà oltre i 50 gradi centigradi: il peggio è previsto per venerdì con il picco di 50,8. Già nei giorni scorsi numerosi incendi hanno devastato milioni di ettari di vegetazione nel New South Wales, nella parte sud orientale del Paese.

Fallimenti– La notizia arriva poco dopo la conclusione della Conferenza delle parti della convenzione sui cambiamenti climatici – Cop25 – di Madrid, la plenaria dei 196 Paesi (più l’Unione Europea) definita dagli ambientalisti “un fallimento”. La più lunga di sempre: è cominciata il 2 dicembre e si è protratta per due giorni extra, senza ottenere i risultati sperati nonostante il severo monito della scienza e le proteste di Greta Thunberg e della società civile in tutto il mondo. Il nodo principale era l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che regola il mercato globale di carbonio: nessuna intesa trovata, se ne riparlerà all’incontro di Bonn del giugno 2020. Fra le critiche più pesanti c’è quella del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres: «La comunità internazionale ha perso una opportunità importante per mostrare maggiore ambizione» e il tweet della stessa Greta «La scienza è chiara, ma la si sta ignorando. Qualunque cosa accada non ci arrenderemo mai. Abbiamo solo appena iniziato».  L’altro punto cruciale era quello della revisione degli aiuti per le perdite e i danni (Loss and damage) che subiscono i Paesi vulnerabili (peraltro i meno responsabili dei gas serra) per cui si chiede ancora uno sforzo di risorse ai Paesi ricchi. Anche in questo caso si è deciso di rinviare al 2020.

Carolina Schmidt, ministro dell’Ambiente del Cile e presidente della Cop25

Successi – Una vittoria però c’è, seppure a metà: è quella dei Paesi vulnerabili, vittime degli eventi meteo estremi e di cui alcuni rischiano di sparire, come le piccole isole del Pacifico. Hanno costretto i Paesi più ricchi a indicare entro l’anno prossimo di quanto aumenteranno (quindi non è più un’opzione) gli impegni entro il 2030 per tagliare i gas serra, all’origine del riscaldamento globale e dei disastri ambientali. Era un punto lasciato nel vago  nell’Accordo di Parigi del 2015. Ora è scritto chiaro e quindi alla Cop26 di novembre 2020 a Glasgow nessun Paese potrà più sottrarsi dall’indicare di quanto aumenterà il contributo nazionale (Ndc) sul clima. Nel braccio di ferro fra i Paesi ricchi e quelli vulnerabili, il risultato a favore dei più poveri e deboli è comunque frutto di un compromesso arrivato dopo trattative estenuanti di 14 giorni (nell’ultima plenaria era chiara la stanchezza tra errori e fretta di prendere l’aereo).

Gli ambientalisti – Nel rilevare che non è «arrivata alcuna risposta concreta dei governi», Legambiente dice che «l’Europa può e deve ridurre le sue emissioni di almeno il 65% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990». Per il Wwf, «i Paesi più inquinanti – fra cui Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Brasile, Arabia Saudita – si sono sottratti alla responsabilità di ridurre le emissioni di gas serra» continuando ad «anteporre i propri interessi alla crisi planetaria» Il 2020 «dovrà essere un anno di svolta e noi lotteremo ancora di più per le persone e la natura», ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia. Secondo Greenpeace, l’esito di questa Cop «è completamente inaccettabile anche per l’irresponsabile debolezza della presidenza cilena».