Difficile ricordare candidati più lontani tra loro. Eppure, a voler cercare, una cosa accomuna Hillary Clinton e Donald Trump. Anzi due. Il primato: nel passato nessuna donna ha ricoperto la carica di presidente, mentre il magnate sarebbe l’inquilino più vecchio della Casa Bianca. E poi le polemiche, scoppiate durante le primarie. Da una parte presunti brogli elettorali a scapito dell’avversario di Clinton, Bernie Sanders, dall’altra il partito repubblicano spaccato che continua a vedere Trump come fumo negli occhi. Non abbiamo idea di chi vincerà, ma sappiamo già che hanno in testa due Americhe agli antipodi.
In cima all’agenda. L’Hofstra University di New York è stata la cornice del primo faccia a faccia televisivo tra Clinton e Trump. L’ex first lady, che secondo l’emittente Cnn avrebbe vinto con il 62% dei consensi, ha detto che la sua massima priorità da presidente sarebbe liberare dall’Isis Iraq e Siria. «Dobbiamo essere consapevoli del fatto che abbiamo avuto foreign fighters (combattenti stranieri al soldo dei terroristi, ndr) che vengono a combattere per loro, denaro straniero, armi straniere», ha precisato Clinton rispondendo al moderatore Lester Holt, giornalista della tv Nbc News. Pochi giorni prima di un altro confronto, quello tra i candidati repubblicani, ad agosto, Trump aveva elencato un paio di provvedimenti con cui inizierebbe il mandato. Partendo da uno dei suoi cavalli di battaglia. «Vorremo alzare un muro solido, la gente sta arrivando come un fiume in piena. L’immigrazione clandestina è un grosso problema», aveva precisato ai microfoni di Fox News. E poi vorrebbe potenziare le forze militari americane e disfarsi dell’Obamacare, la riforma della sanità del suo predecessore.
Le sfide sul tavolo. Molte coincidono con i dossier arrivati sulla scrivania di Barack Obama nel 2009. Altri si sono aggiunti nel corso del tempo. Quasi tutti sono elencati sui siti ufficiali dei due sfidanti, alla voce “Issues”, per Clinton, “Policies” per Trump. La prima sceglie trentasette voci, entra un po’ più nel dettaglio e riprende molte delle questioni aperte da Obama, con cui ha lavorato come segretario di Stato nel primo mandato. Il rivale miliardario ne fissa tredici, più generiche e identificative della sua idea di Paese. Sono i temi che comporranno l’ordine del giorno del futuro presidente: il terrorismo, la crescita economica e l’industria, il rapporto con Wall Street, l’immigrazione, il piano fiscale, il commercio, la lotta alla violenza, la comunità afroamericana, il possesso delle armi, i veterani di guerra, il cambiamento climatico. Secondo un sondaggio realizzato nel mese di settembre dell’istituto di ricerca Gallup i problemi più sentiti dagli americani sono: disoccupazione, debito federale, diseguaglianza sociale, disaffezione verso il governo, riforma elettorale, razzismo.
Massima distanza. Per quanto riguarda i diritti individuali Trump è un conservatore a differenza di Clinton: ad esempio non approva i matrimoni tra persone dello stesso sesso e condanna l’aborto. A livello economico, come racconta il giornalista Bernard Guetta, Trump sostiene sia doveroso incentivare la liberalizzazione delle imprese e ridurre le tasse per porre un freno alla fuga delle aziende all’estero. Clinton al contrario crede che sia necessario aumentare la pressione fiscale per i più ricchi così da ridare linfa agli investimenti, individuali e collettivi. Notevole distanza anche in politica estera. A partire dal Tttip, l’accordo transatlantico di libero scambio tra Stati Uniti e Unione europea. Trump si è sempre dichiarato contrario mentre per la sua avversaria è la versione in cui è stato scritto ad essere suscettibile di contestazione, non il principio ispiratore. Numerose le critiche che i due si rimbalzano. L’imprenditore di New York punta il dito contro le scelte di Clinton da segretario di Stato mentre la candidata gli rimprovera alcune sue amicizie pericolose.
Terremoti geopolitici. Le posizioni dei due sfidanti sui temi internazionali (vale la pena ricordare che il Presidente degli Stati Uniti è anche il capo delle forze armate americane) sono fondamentali per farsi un’idea su quale piega potrebbero prendere i rapporti tra gli Usa e il resto del mondo. Mentre Clinton ha detto di avere intenzione di proseguire sulla linea di Barack Obama, è facile immaginare che in caso di vittoria di Trump l’attuale situazione geopolitica subirebbe notevoli cambiamenti. Il tycoon ha dichiarato che, se eletto, rinegozierebbe l’accordo sul nucleare con l’Iran e punirebbe la Cina per i suoi comportamenti scorretti in tema di commercio. Con la conseguenza che gli sforzi dell’amministrazione Obama di mutare a proprio favore i delicati equilibri in Oriente e in Medio Oriente finirebbero con l’essere vanificati. Ancora più preoccupanti i possibili stravolgimenti del ruolo degli Stati Uniti nel vecchio continente: se da una parte Trump ha accusato i leader dell’Unione Europa di debolezza e ha ventilato la possibilità di ripensare il ruolo degli Usa nella Nato, dall’altra ha auspicato una maggiore cooperazione con la Russia di Vladimir Putin.
Le squadre di governo. Cruciale nel definire la politica estera del futuro inquilino della Casa Bianca sarà la scelta del segretario di Stato. Per Trump sono stati fatti i nomi dei senatori Bob Corker e Jeff Sessions e di John Bolton, ex ambasciatore americano all’Onu. Sul fronte democratico si pensa invece a Wendy Sherman, già sottosegretario di Stato per gli affari politici, Bill Burns, ex segretario di Stato, e Susan Rice, attuale consigliere per la sicurezza nazionale. Indiscrezioni sono trapelate anche per quanto riguarda gli altri membri della squadra di governo. C’è chi parla del governatore del New Jersey Chris Christie come del prossimo procuratore generale in caso di vittoria repubblicana, con l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani alla Sicurezza Interna, l’imprenditore Carl Icahn o l’ex banchiere di Goldman Sachs Steve Mnuchin al Tesoro e il medico Ben Carson (battuto da Trump alle primarie) alla Sanità. Poco spazio alle quote rosa, anche se il tycoon assicura di voler includere nel suo Gabinetto la figlia Ivanka e Sarah Palin, scelta come vice dall’ex candidato repubblicano John McCain nel 2008. Al contrario, Clinton vuole che almeno la metà dei componenti del suo team siano donne: la favorita alla Difesa è Michèle Flournoy, ex sottosegretario alla Difesa per la politica militare, mentre si vocifera di Michelle Obama all’Agricoltura.
L’ago della bilancia. L’attuale first lady è una figura chiave nella campagna di Hillary Clinton. Michelle sta sfruttando l’altissimo consenso di cui gode per convincere gli indecisi a votare l’ex segretario di Stato, considerata da molti bugiarda, fredda e troppo vicina all’establishment. Da qui all’otto novembre uno degli obiettivi principali di Hillary è portare dalla sua parte i principali sostenitori del suo ex avversario Bernie Sanders, vale a dire i millennial. Dal canto suo, Trump sta corteggiando gli afroamericani, i principali elettori di Barack Obama, che li ha subito messi in guardia: «Non votare Clinton è un insulto personale».
Il tempo del confronto. Per il momento, la 68enne risulta in vantaggio di qualche punto sul rivale, soprattutto grazie al successo ottenuto nel primo confronto con Trump. Ma prima del grande giorno mancano altri due dibattiti televisivi, il 9 e il 19 ottobre, e Trump ha assicurato che le prossime volte non ci andrà giù così piano. «Credo che Donald mi abbia appena criticata per essermi preparata a questo dibattito», ha detto Clinton durante la serata del 26 settembre. «È vero, mi sono preparata. E sapete per cos’altro mi sono preparata? Per essere presidente». Non tutti però sono convinti che la competenza di Hillary basterà per sconfiggere il candidato più imprevedibile della storia.
Andrea de Cesco e Marta Latini