La polizia presidia l’abitazione di Aung San Suu Kyi a Yangon (foto ANSA)

Colpo di Stato in Birmania: durante la notte fra il 31 gennaio e l’1 febbraio le forze armate hanno arrestato Aung San Suu Kyi, capo del governo e Nobel per la Pace. Da settimane l’esercito denuncia irregolarità nelle elezioni di novembre, vinte dal partito di Suu Kyi, la Lega Nazionale per la Democrazia (LND). Anche altri esponenti politici, fra cui il presidente Win Myint, sono stati fermati. Attraverso la tv statale, l’esercito ha annunciato lo stato d’emergenza per un anno: in questo periodo, l’ex-generale Myint Swe sarà presidente ad interim. Tutti i poteri sono al momento in mano al capo delle forze armate, il generale Min Aung Hlaing. L’Onu, l’Unione Europea e gli Usa hanno condannato il golpe. Nelle ore successive agli arresti, l’esercito ha annunciato nuove elezioni “libere e regolari” alla fine dello stato d’emergenza.

Il golpe – Nelle ore successive all’arresto di Aung San Suu Kyi, si sono verificate interruzioni sulla rete Internet in Birmania. L’associazione birmana degli istituti bancari ha annunciato che al momento tutte le banche del Paese sono state chiuse e sono stati sospesi i servizi di prelievo automatici. La notizia dell’arresto è arrivata all’una di lunedì 1 febbraio (ora italiana) ed è stata data dal portavoce della Lega Nazionale per la Democrazia, Myo Nyut. Il colpo di Stato è iniziato a poche ore dall’insediamento del nuovo Parlamento, eletto con il voto dello scorso 8 novembre e nel quale il partito di Suu Kyi aveva conquistato 368 seggi su 434.

La dichiarazione – «Esorto la popolazione a non accettarlo, a rispondere e a protestare con tutto il cuore contro il colpo di Stato dei militari», ha dichiarato Suu Kyi, che gode ancora di grande popolarità nel Paese. Il messaggio è stato diffuso dal suo partito, LND. La leader birmana è attualmente detenuta a Naypyidaw, capitale della Birmania.

Manifestanti birmani a Tokyo (Foto ANSA)

Le proteste – Come riporta la Reuters, centinaia di manifestanti birmani intanto si sono raccolti di fronte all’Università delle Nazioni Unite a Tokyo, per protestare contro l’arresto di Aung San Suu Kyi e chiedere una condanna più decisa da parte dell’Onu. Mentre per le strade di Yangon, dove esercito e polizia sono schierati, sempre secondo quanto riportato dalla Reuters, non si vedono per ora proteste contro il golpe, solo manifestazioni in sostegno dei militari. Manifestazioni anche all’esterno dell’ambasciata birmana a Bangkok: la protesta degli attivisti birmani e thailandesi è stata dispersa dalla polizia dopo alcuni momenti di tensione, tra cui l’esplosione di due piccoli ordigni. «Rimettete in libertà Aung San Suu Kyi!», hanno intonato i birmani, vestiti in rosso come il colore della Lega nazionale per la democrazia, e alzando fotografie del premio Nobel per la Pace. Il colpo di stato è un tema caldo per gli attivisti thailandesi, dato che il Paese è di fatto sotto una giunta militare – per quanto legittimata da elezioni due anni fa – ormai dal 2014, e insensibile alle ripetute proteste di piazza degli ultimi mesi.

La reazione dei Rohingya –  Una condanna del golpe è arrivata dal Bangladesh, da parte del leader dei rifugiati Rohingya Dil Mohammed: «Noi della comunità Rohingya condanniamo fermamente questo atroce tentativo di uccidere la democrazia», ha dichiarato alla Reuters. La minoranza musulmana Rohingya è stata in questi anni vittima di una violenta repressione da parte del governo birmano, sempre negata da Aung San Suu Kyi.

La condanna internazionale – Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha espresso una ferma condanna per l’arresto di Aung San Suu Kyi e degli altri leader politici birmani. In un comunicato, la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha dichiarato che gli Stati Uniti «si oppongono ad ogni tentativo di alterare il risultato delle recenti elezioni o ostacolare la transizione democratica del Myanmar e agiranno contro i responsabili se queste misure non saranno revocate». L’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha chiesto il rilascio immediato dei detenuti. «Il popolo birmano vuole la democrazia – ha aggiunto – L’Ue è con loro». Alla condanna di Borrell si sono uniti anche la presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel.

Anche i governi di Regno Unito, Australia e India hanno condannato il golpe, così come la Farnesina. Mentre è stata più cauta la reazione di Pechino: il ministro degli Esteri Wang Wenbin ha dichiarato che la Cina è un «vicino amichevole del Myanmar» e di sperare «che tutte le parti nel Paese possano gestire adeguatamente le differenze nell’ambito del quadro costituzionale e legale».