La sua testimonianza di fronte alla Commissione Intelligence del Senato sarà trasmessa in diretta nei pub come fosse la finale del Super Bowl o la cerimonia degli Oscar. James Comey, ex numero uno dell’Fbi licenziato da Donald Trump il 9 maggio, è l’uomo che alimenta la polemica sul Russiagate e rischia di rendere meno solida la sedia del presidente alla Casa Bianca. «Trump mi disse al telefono che la storia dell’interferenza russa gli era scomoda, che voleva rimuoverla. Poi mi chiese esplicitamente di chiudere le indagini, di lasciar perdere». Con queste parole Comey ha messo nei guai il presidente. Che però, secondo il suo avvocato, si sentirebbe «scagionato» dalle dichiarazioni dell’ex capo della polizia federale.

La vicenda- Nel momento di massima tensione con il Congresso sul ruolo della Russia durante la campagna elettorale, il presidente era volato in Medio Oriente per occuparsi della politica estera, ma il Russiagate negli Stati Uniti non si è fermato. I senatori della commissione stanno esaminando il caso, per vedere se ci sono gli estremi per avviare un procedimento di impeachment, proprio come accadde a Richard Nixon durante lo scandalo Watergate. I democratici sono intenzionati a portare il presidente in tribunale. I repubblicani potrebbero essere obbligati a farlo. Il licenziamento di Comey, a seguito delle richieste telefoniche di interrompere le indagini, e le dimissioni di Micheal Flynn, consigliere per la Sicurezza nazionale che aveva mentito sulle relazioni con il Cremlino, lascerebbero al presidente pochi alibi.

L’accusa- Le parole di Comey hanno acceso il dibattito politico negli Usa. Ora Trump deve offrire garanzie di trasparenza sul rapporto con la Russia, da molti considerata ancora un Paese avversario, se non addirittura nemico. Per il senatore McCain (repubblicano) le rivelazioni dell’ex numero uno dell’Fbi sono «inquietanti, tanto da rompere il rapporto di fiducia con il Congresso». L’impeachment, previsto dalla Costituzione americana consiste nella rimozione dall’incarico del presidente e di tutti i suoi collaboratori, «in caso di tradimento, corruzione o altri crimini gravi». Il nodo sarebbero le stesse parole di Trump al telefono con Comey: se quelle dichiarazioni possono essere considerate «ostruzione al corso della giustizia». Se l’esito finale sarà un processo contro il presidente, servirà la maggioranza dei due terzi del Senato, dopo che la Camera abbia formulato un capo di imputazione valido, per mandare Trump a casa. In sintesi un ampio consenso trasversale che comprenda repubblicani e democratici.

La difesa- Il presidente ha promesso battaglia. Marc Kasowitz, uno dei suoi avvocati, ha detto che «il presidente si sente totalmente scagionato, perché le indagini di Comey riguardavano solo Flynn, senza coinvolgere Trump direttamente nei rapporti con il Cremlino». Nelle stesse ore gli altri legali supplicano il presidente di non entrare in polemica con i suoi soliti tweet, uno strumento che utilizza molto, spesso creando tensioni politiche e diplomatiche. L’ultimo caso sono le parole di critica al sindaco di Londra Sadiq Khan, poche ore dopo l’attentato al London Bridge e al Borough Market, che rischiano di incrinare i rapporti con il Regno Unito. Trump continuerà a difendersi attraverso una continua esposizione mediatica su tutti i canali all news, sollevando interrogativi e sospetti sul tempismo delle dichiarazioni di Comey. Pensa di poter tacitare il Russiagate nello stesso modo con cui ha vinto le elezioni. Ma per sua sfortuna le difficoltà politiche rimangono. Se il presidente non riuscirà più a contare sul sostegno del partito repubblicano, diviso e ancora molto indeciso sul da farsi, l’impeachment non resterà solo lo slogan dei suoi oppositori.