L’ambasciatrice americana all’Onu Nikki Haley

«Ora la guerra è più vicina». A 24 ore dal nuovo test missilistico coreano, lanciato nella giornata di martedì 28 novembre, l’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite Nikki Haley, nel corso della riunione di emergenza del consiglio di sicurezza dell’Onu, avverte Pyongyang: «Se la Corea del Nord attaccherà gli Stati Uniti, il regime sarà completamente distrutto». Un monito in linea con le intenzioni del presidente americano Donald Trump, che dopo l’ennesima provocazione di Kim Jong-un ha definito il leader coreano «cagnolino malato» e «piccolo uomo razzo». Tuttavia, «se sarà possibile», ha ribadito Haley, «gli Stati Uniti faranno di tutto per evitare un conflitto armato che noi non stiamo cercando» e tenteranno di nuovo la via della diplomazia. Una strada che però sembra percorribile solo con il complicato aiuto esterno di Cina e Russia, facendo leva sull’influenza che le due potenze possono esercitare sul regime nordcoreano.

Hwasong 15 – Nella serata di martedì 28 novembre la Corea del Nord ha voluto mostrare la reale potenza della sua minaccia sul mondo. Il missile intercontinentale Hwasong 15 è stato definito da Kim Jong-un l’arma più potente a disposizione dell’arsenale del regime. Sotto i suoi occhi il «super-missile» ha percorso 4.475 chilometri in verticale, raggiungendo un’altitudine dieci volte superiore a quella della stazione spaziale internazionale in orbita. E dopo 53 minuti di volo si è inabissato in mare, ancora una volta nelle acque territoriali del Giappone. In via teorica, il Hwasong 15 sarebbe in grado di percorrere 13.000 chilometri, minacciando la costa orientale degli Stati Uniti e perfino l’Europa. «Siamo una potenza nucleare in grado di colpire qualsiasi punto dell’intero continente nordamericano», ha rivendicato il dittatore coreano. Ma molti esperti dubitano che l’arma sia in grado di trasportare una testata atomica, soprattutto per il peso di un ordigno nucleare.

Tra Russia e Cina – In risposta all’ennesima escalation missilistica, Haley ha chiesto prima ai Paesi membri «di bloccare ogni genere di legame commerciale con la Corea del Nord» e poi ha attaccato la politica attendista della Cina. L’ambasciatrice ha esortato Pechino a «tagliare le forniture di petrolio alla Corea del Nord» e a smettere di intrattenere affari con il regime. Lo stesso Trump, che dopo il suo viaggio in Oriente nutriva grandi speranze in un appoggio cinese più solido, non ha esitato a rassicurare – in un tweet – di aver subito riattivato i rapporti con il presidente Xi Jinping, promettendo nuovi provvedimenti. Dal fronte cinese ha parlato il ministero della Difesa che, attraverso le parole del suo portavoce Wu Qian, ha ribadito che «l’intervento militare non è un’opzione» e che la soluzione non può che maturare «attraverso il dialogo e le consultazioni». Intanto, mentre il Pentagono e il Tesoro americano studiano nuovi interventi (militari e commerciali), l’unica carta che rimane sul tavolo Usa rimane l’inasprimento delle sanzioni già in vigore, anche se sono in molti a dubitare della loro efficacia (il 90% del commercio estero nordcoreano è già praticamente bloccato). E se la Cina fatica a prendere posizioni nette, a complicare ancora di più le strategie americane è la linea della Russia. Commentando alla Tass gli sviluppi della crisi missilistica nordcoreana, il ministro degli Esteri russo Serghei Lavorov ha rotto il fronte anti-Kim, definendo «intenzionalmente provocatorie» le azioni degli Usa contro la Corea del Nord e bocciando di fatto la via delle sanzioni.

Il blocco navale – Per il momento, resta invece congelata la proposta del segretario di Stato americano Rex Tillerson: un blocco navale che possa isolare le vie marittime verso la Corea del Nord. Un gesto simbolico che servirebbe ad affermare la supremazia americana nei mari cinesi, ma che potrebbe raccogliere pochi frutti, visto che resterebbero ancora attive le vie commerciali terrestri tra Pyongyang, Mosca e Pechino.