Più che un dialogo un continuo scambio di minacce. Le relazioni tra Corea del Nord e Stati Uniti restano estremamente tese. L’ultimo comunicato bellicoso – e particolarmente esplicito – di Pyongyang è del 26 marzo: secondo una comunicazione della Korean Central News Agency, l’agenzia di stampa ufficiale, «missili strategici a lunga gittata sono stati preallertati per un possibile attacco contro gli Stati Uniti». Obiettivo dell’azione militare non solo il territorio continentale, ma anche le basi delle Hawaii e di Guam, la più grande isola della Micronesia, controllata da Washington e situata nel Pacifico, a soli 1.500 chilometri circa a sud-est della penisola coreana.
«Le forze armate del Nord – riporta la Kcna – sono pronte a entrare in azione, mentre le unità di artiglieria con i razzi a lungo raggio sono pronte al tiro». Il difficile ruolo di mediazione tocca alla Cina. Pechino, tramite il suo portavoce governativo Hong Lei, ha invitato alla «moderazione» tutte le parti in causa.
Già giovedì 21 marzo il regime nordcoreano aveva lanciato un monito simile, senza però fare riferimenti diretti a preparativi in atto. Il Nord ha più volte minacciato di attaccare Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone, anche riattivando un programma di armi nucleari, sebbene gli esperti non ritengano disponga di questa tecnologia.
La reazione Usa non si è fatta attendere e Washington ha da tempo avviato simulazioni di guerra al computer e soprattutto esercitazioni navali congiunte tra le proprie forze e quelle del governo di Seul, effettuate nel marzo scorso. Sono state queste a provocare l’ultimo peggioramento delle relazioni con il regime nord-coreano, che ha annullato l’armistizio del 1953 e tagliato il collegamento telefonico d’emergenza tra i due governi. «L’armistizio del 1953 con la Corea del Sud è completamente nullo da oggi», scriveva il 12 marzo scorso il Rodong Sinmun, quotidiano del Partito dei lavoratori nordcoreano, rafforzando le dichiarazioni del regime di Pyongyang, il cui esercito «attende solo l’ordinale finale d’attacco».
Silvia Morosi