Mentre il mondo sta per superare i 5 milioni di contagi, qualche notizia incoraggiante arriva dagli Stati Uniti, il Paese più colpito dal Covid-19 (oltre 1,5 milioni di casi): in Massachusetts, l’azienda di biotecnologia Moderna ha annunciato che i primi risultati delle sue sperimentazioni sul possibile vaccino per il coronavirus sono «positivi». La fase 1 dei test clinici – ha spiegato – ha mostrato che le persone a cui è stato somministrato il vaccino hanno sviluppato anticorpi simili, se non più forti, rispetto a quelli dei pazienti già guariti dal Covid-19. Intanto, in Corea del Sud, dove il numero di decessi a causa del virus è tra i più bassi al mondo, il Centro per il controllo delle malattie (Kcdc) ha fatto sapere che i pazienti già guariti e risultati nuovamente positivi non sarebbero più contagiosi. Segnali, entrambi, che i rispettivi Paesi hanno accolto con entusiasmo, mentre in Italia gli esperti sono più prudenti.
Moderna – «Siamo molto felici perché, per prima cosa, il vaccino è risultato generalmente sicuro», ha commentato l’amministratore delegato di Moderna, Stephan Bancel. L’azienda è pronta a partire con la fase 2, in cui verrà indagata l’attività profilattica delle vaccinazioni, e valuta di poter eseguire i test su centinaia o migliaia di pazienti già dai primi di luglio. Un entusiasmo prematuro, quello di Bancel, secondo il professor Raffaele De Palma, primario di Medicina interna e Immunologia al Policlinico San Martino di Genova. «Non siamo ancora di fronte a un lavoro scientifico, ma a un comunicato stampa, perciò non so ancora dire se l’esperimento sia davvero efficace», ha detto.
L’infettivologo – Con la stessa prudenza, Massimo Galli, responsabile del reparto Malattie infettive dell’ospedale Luigi Sacco di Milano, ha commentato l’annuncio del Centro coreano per il controllo delle malattie (Kcdc), stando al quale i pazienti risultati nuovamente positivi al coronavirus non sarebbero contagiosi. «Non abbiamo ancora la controprova», ha spiegato Galli, «le persone positive vanno comunque ritenute contagiose. L’unica speranza è che, nella coda dell’infezione, la maggior parte dei positivi non sia più infettante».
La Corea del Sud – Il comunicato del Kcdc è arrivato dopo che il Centro ha condotto analisi di laboratorio su 108 casi e indagini epidemiologiche su 285 pazienti che erano risultati nuovamente positivi al virus dopo la prima guarigione. La Cnn ha riferito che sono stati sottoposti a test 790 contatti stretti dei 285 recidivi positivi e che nessuno ha riscontrato infezioni riconducibili a quei casi. Di conseguenza, le autorità sudcoreane hanno ritirato le linee guida che raccomandavano ai pazienti guariti di osservare altre due settimane di quarantena dopo essere stati dimessi dagli ospedali.
Le ipotesi – Resta ancora da capire come mai chi era già guarito sia risultato di nuovo positivo al Covid-19. Per Jung Eun-kyeong, direttore del Kcdc, «potrebbe trattarsi di un rilevamento di frammenti ormai morti di virus». Ma «è solo un’ipotesi, che necessita di maggiore chiarezza», ha replicato il professor Antonio Pesenti, direttore del dipartimento di Anestesia-Rianimazione al Policlinico di Milano.
Il modello sudcoreano – In attesa che su questo aspetto venga fatta chiarezza, si continua a riflettere sull’efficacia del “modello sudcoreano” nella gestione della pandemia. Secondo De Palma, «la Corea del Sud è forse l’unico Paese che ha avuto un atteggiamento adeguato rispetto al coronavirus ed è per questo che ha avuto molti meno morti dell’Italia. Lì sono state adottate misure diverse ed è su questo che noi scienziati dovremmo ragionare, invece che dibattere sull’ultima terapia trendy».