Kamala Harris potrebbe diventare la prima presidente donna degli Stati Uniti. Le sue origini, un incontro tra culture differenti, così come il suo impegno da procuratrice della California e le battaglie da senatrice, ci dicono molto sulla visione e la personalità della candidata democratica alla Casa Bianca. Non senza cambiamenti nelle proprie posizioni politiche.
Le origini – Kamala Harris nacque in California, ad Oakland, nel 1964. Figlia di immigrati negli States, sua madre Shyamala Gopalan era una ricercatrice giunta dall’India. Il padre Donald, insegnante di economia all’università, proveniva invece dalla Giamaica ed era, come Shyamala, un attivista per i diritti civili delle minoranze etniche. Dopo aver vissuto gli anni dell’adolescenza in Canada, a Montreal, uno degli snodi principali della vita della candidata democratica arriva nel 1989, anno in cui si laureò in Legge all’Hastings College di San Francisco. Già l’anno successivo iniziò, infatti, la carriera da magistrata come vice-procuratrice distrettuale della contea californiana di Alameda.
L’azione da procuratrice – Harris si è distinta per la fermezza con cui ha perseguito alcuni crimini durante la sua esperienza da procuratrice distrettuale di San Francisco, tra il 2004 e il 2011, e poi da procuratrice generale della California, tra il 2011 e il 2016. Dopo essere stata eletta prima donna nera a capo della procura della città californiana, fece infatti salire la percentuale di condanne dal 53% al 67% nell’arco di tre anni. Per questo motivo, cui va aggiunta l’accusa lanciata dalla sinistra democratica di aver difeso le forze dell’ordine in casi controversi, fu etichettata dai suoi critici come “top cop”, “superpoliziotta”. Contraria tuttavia alla pena di morte, si è occupata anche di reati ambientali, diritti sociali dei lavoratori e della comunità Lgbtq+. Lei si è definita “procuratrice progressista”.
Donne e migranti – Nel 2016, Harris aprì un nuovo capitolo della sua vita, quello dell’impegno politico, venendo eletta senatrice. Prima di diventare vice-presidente degli Stati Uniti, nel 2020, la sua azione si era caratterizzata per la battaglia a favore dei diritti delle donne e la dura opposizione all’amministrazione di Donald Trump, soprattutto sul tema immigrazione. Si schierò fermamente contro il “Muslim ban” decretato da Trump nel 2017, il divieto d’ingresso in Usa ai cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana. Infine, prese nette posizioni contro gli abusi della polizia sul caso George Floyd, l’afroamericano ucciso a Minneapolis da un agente durante un controllo, cercando di ribaltare l’immagine che si era creata da procuratrice.
Posizioni “più morbide” – Da vice-presidente, eletta alla Casa Bianca in ticket con Joe Biden, la sua linea sull’immigrazione è cambiata, assumendo tinte più securitarie e sposando un approccio più rigoroso contro gli ingressi clandestini. Nella campagna elettorale attuale ha più volte parlato di controlli alle frontiere ed espulsioni per gli irregolari, ma anche di nuovi percorsi, con meno vincoli, per ottenere la cittadinanza americana. Anche sulle questioni ambientali e climatiche, Harris pare oggi essersi spostata su posizioni più sfumate, schierandosi contro il divieto alla controversa tecnica del fracking, l’estrazione di gas e petrolio dal sottosuolo frantumando le rocce. In passato, invece, aveva manifestato il suo “no” a questa pratica. La volontà è quella di rendersi più appetibile elettoralmente per l’area moderata.
Economia, guerre e l’eredità di Biden – L’economia statunitense è in crescita, ma gli ultimi anni post-pandemici sono stati caratterizzati da un alto tasso d’inflazione, con l’aumento dei prezzi che ha ridotto il valore dei salari degli americani. Le proposte della candidata democratica alla presidenza si concentrano infatti sulle classi medio-basse: nessuna nuova tassa sulle famiglie con redditi sotto i 400 mila dollari annui, un impegno maggiore per l’assistenza sanitaria e rilancio delle politiche abitative. Sulla guerra in Ucraina, Harris si pone sulla scia di Biden, confermando il pieno sostegno al Paese invaso dalla Russia. Narrazione più attenta, invece, alle condizioni della popolazione palestinese, che nel concreto diventa rinnovato impegno per il cessate il fuoco e per un negoziato con al centro il rilascio degli ostaggi israeliani a Gaza. Contemporaneamente non vengono posti in discussione i rifornimenti militari allo storico alleato Israele. Una posizione prudente che tiene in considerazione la frattura della base democratica sul tema dei diritti dei palestinesi.