Dopo quasi cinquantacinque anni il potere degli Assad è stato rovesciato. Il dominio di Bashar al Assad, il rais che ereditò il governo dal padre Hafiz, è finito. L’ex presidente siriano ha ottenuto asilo politico in Russia e da domenica 8 dicembre Damasco è ufficialmente in mano ai ribelli per la prima volta dopo mezzo secolo. Bashar, l’uomo designato alla guida della Siria quasi per caso dopo la morte del fratello maggiore, ha governato la nazione dal 17 luglio 2000. E ora lascia un Paese distrutto dalla repressione e tradito dalle mancate promesse riformiste degli inizi.

Gli inizi – Il dominio della famiglia ebbe inizio nel 1970 con un colpo di stato e l’incarcerazione a vita di Salah al Jadeed e Nureddin Atassi, entrambi appartenenti al partito di opposizione Ba’ath. Guidato per trent’anni da Assad padre, secondo i piani dinastici avrebbe dovuto succedergli Basil, primogenito con esperienze politiche e formazione militare. L’erede però muore in un incidente d’auto nel 1994 e così Bassar abbandona gli studi di medicina a Londra per tornare in patria. Qui ha una rapidissima carriera militare e si forma alla scuola di Stato Maggiore, ottenendo il comando delle forze di occupazione siriane in Libano nel 1998 e raggiungendo il grado di colonnello nel 1999.
Quando nel giugno del 2000 Hafiz al Assad muore, Bashar gli succede e viene visto come possibile riformatore. Lui stesso si era presentato come tale, sia in campo sociale, sia in ambito economico. Tuttavia, forse a causa dell’inesperienza, nei primi anni del potere viene guidato dalla vecchia cerchia di collaboratori del padre. Bashar inoltre mantiene intatto tutto l’apparato repressivo costruito dal predecessore e non rinuncia al culto della personalità tributato alla famiglia, sfruttato anche dalla first lady Asma al Assad. Nel 2001 molti membri dell’opposizione e della classe intellettuale siriana si riuniscono e danno avvio a quella che verrà ricordata come primavera di Damasco, finita poi con una tornata di arresti. Chi uscirà dal carcere, nel 2005, tenterà, senza esiti, di chiedere aperture al governo attraverso la pubblicazione del “manifesto di Damasco”.

Dittatura e crollo – I mesi seguenti confermano la continuità con il regime paterno. Sul finire del 2001 ricominciano le repressioni di sicurezza, i dibattiti seguiti alla primavera vengono soppressi dal governo e le posizioni del potere si irrigidiscono. Quindi l’istituzione dello stato di emergenza e gli sconvolgimenti provocati dall’arrivo dei profughi iracheni dopo l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 mettono il punto definito alle iniziali, seppur moderate, speranze di libertà del popolo siriano.
La svolta definitiva, in senso repressivo e anti-riformistico, arriva però con la guerra civile del 2011. Nel 2021 Bashar ottiene un quarto mandato, sostenuto di fatto dalle interferenze degli alleati russi e iraniani e dalla sostanziale frammentarietà dell’opposizione. Il coinvolgimento delle potenze estere e regionali, come la Turchia, i Paesi del Golfo e gli Usa, diviene sempre più rilevante. Da una parte i paesi del Golfo e la Turchia in sostegno degli insorti, dall’altra gli americani in appoggio ai curdi del YPG, braccio armato siriano del PKK. Infine la Russia e lIran, impegnate a reggere un regime traballante eppure all’apparenza inamovibile.
Fino a sabato, fino alla fuga. Fino al decollo di un Ilyushin Il-76T da Damasco, sparito dai radar nell’area di Homs. Fino al cambio della guardia e alla liberazione della prigione di Sednaya, simbolo della dittatura in cui erano stati imprigionati, torturati e assassinati migliaia di oppositori del potere della dinastia al-Assad.