Anche lo slogan delle presidenziali 2008 ha subìto l'ironia del web dopo il datagate

Data fobia. Dopo lo scandalo americano Prism sullo spionaggio dei dati, la paura di vivere in una sorta di Grande Fratello comincia a circolare in tutto il mondo. Inclusi gli angoli più remoti, come l’Australia. Terra di deserto, canguri e koala, ma a quanto pare anche di e-mail e telefonate accuratamente controllate dall’intelligence.

L’allarme lo lancia il Sydney Morning Herald, che l’11 giugno dà il buongiorno ai cittadini austrialiani con una notizia inquietante: la polizia federale australiana starebbe raccogliendo, da anni, dati telefonici e di internet dai cittadini, senza dover richiedere un mandato. Un archivio ormai cospicuo, visto che queste operazioni vengono fatte circa mille volte a settimana.

La storia è saltata fuori dopo che una commissione del senato australiano, di recente, ha cercato di andare più a fondo nella questione dell’accesso a dati di Facebook e Google. Il vice commissario della polizia federale, Michael Phelan, ha riferito alla commissione del Senato che, tra il 2012 e il 2013, sono state presentate 43.362 richieste di ‘metadati’ su telefonate e collegamenti internet dei cittadini australiani. Nelle informazioni rilasciate viene indicato tutto: numero di telefono chiamato, data, ora, durata. E non serve alcun mandato, ha sottolineato Phelan.

La richiesta delle informazioni venivano dall’Australia ma anche, guarda caso, dagli USA, dove tutto è iniziato. A far esplodere le polemiche sul Prism, il programma dell’Agenzia della Sicurezza Nazionale americana (NSA), è stato un ragazzo di ventinove anni, senza diploma di scuola superiore, ma tanta abilità nei polpastrelli. Edward Snowden, tecnico informatico con domicilio alle Hawaii, a tre passi dalla spiaggia di Waipahu, ha lavorato per la Cia e negli ultimi quattro anni alla NSA. Guadagnava 200mila dollari l’anno, aveva una ragazza di nome Lindsay che di professione fa la ballerina. Ma Snowden non era molto sereno. Nel suo lavoro vedeva tanto, troppo: a metà maggio si mette in aspettativa, e contatta il Washington Post per pubblicare un dossier sull’attività della NSA e sui milioni di telefonate, e-mail e comunicazioni web scandagliate dai suoi analisti. Il Washington Post tergiversa, la giovane talpa manda tutto al Guardian, che pubblica la notizia e fa scoppiare lo scandalo Prism, gettando l’amministrazione Obama nell’imbarazzo.

«Il mio unico obiettivo è informare il pubblico di ciò che viene fatto in suo nome e quanto viene fatto contro di loro. Voglio che ci si concentri su questi documenti, non su di me, e che si apra un dibattito tra i cittadini di tutto il globo su quale genere di mondo vogliamo vivere», ha fatto sapere Snowden da Hong Kong, dove è in esilio volontario da metà maggio. Mezzo mondo si chiede, ora, quante telefonate, e-mail e cronologia internet siano finite negli archivi della polizia.

Susanna Combusti