Le reazioni internazionali ai dazi imposti dagli Stati Uniti sono state concordi nel criticare con durezza il nuovo corso protezionistico di Washington. Commenti che sono arrivati dopo il discorso del presidente statunitense Donald Trump nella tarda serata italiana del 2 aprile dal giardino della Casa Bianca.
Contromisure europee – Estrema preoccupazione da parte dalla Commissione Europea. La scure, che colpirà Paesi di tutto il mondo, per gli Stati dell’Unione corrisponderà a dazi del 20%. La presidente Ursula von der Leyen ha detto: «L’incertezza si diffonderà a macchia d’olio e scatenerà un ulteriore protezionismo. Le conseguenze saranno terribili per milioni di persone in tutto il mondo che dovranno fare i conti con un aumento dei costi. I farmaci verranno di più, così come i trasporti. L’inflazione salirà. E questo danneggerà soprattutto i cittadini più vulnerabili». Von der Leyen, nell’intervento letto in tre lingue (inglese, francese e tedesco), ha mostrato fermezza: «Siamo pronti a reagire, ma siamo pronti a negoziare, non è troppo tardi». Ci saranno innanzitutto contromisure sull’acciaio, le cui tariffe doganali sono state alzate da Washington al 25% già dall’11 marzo, e ne saranno preparate altre «in caso di fallimento dei negoziati». Da Samarcanda, in Uzbekistan, dove nelle prossime ore avrà inizio il primo vertice tra Ue e Asia Centrale, von der Leyen non ha fornito ulteriori dettagli sulle contromisure anche perché, «non c’è un percorso chiaro – ha detto la presidente – attraverso la complessità e il caos che si sta creando». Due giorni fa, Ursula von der Leyen aveva parlato di «vendetta» dell’Unione europea se fossero entrati in vigore i dazi. Posizione poi corretta con termini più diplomatici, ma decisi, come ha ribadito nelle ultime ore: «Sono pronta a sostenere qualsiasi sforzo per rendere il sistema commerciale globale adatto alle realtà dell’economia globale. Ma ricorrere alle tariffe come primo e ultimo strumento non risolverà il problema». A tutela dei settori più colpiti saranno introdotte delle forme di sostegno, ma da più parti si vorrebbe evitare il muro contro muro, che potrebbe portare a un’escalation nei rapporti con l’alleato americano.
Cina – Uno dei Paesi maggiormente aggrediti dai dazi è la Cina che ha visto un aumento del 34% sui beni esportati negli Stati Uniti. Aggiungendo le precedenti tariffe, nel complesso la barriera è del 54%. Per questo, il ministero del Commercio di Pechino ha chiesto di «annullare immediatamente» i nuovi dazi, definiti «una tipica pratica di bullismo unilaterale che mette a repentaglio lo sviluppo economico globale». «La Cina – è scritto nella nota ministeriale – esorta gli Stati Uniti a risolvere adeguatamente le divergenze con i partner commerciali attraverso un dialogo paritario».
Giappone – Il ministro del commercio e dell’industria giapponese Yoji Muto ha definito i nuovi dazi doganali statunitensi del 24% «estremamente deplorevoli». Quindi l’esortazione a non applicarli a Tokyo.
Gran Bretagna – Tra le prime reazioni dal vecchio continente c’è stata quella della Gran Bretagna, che nelle ultime settimane ha scelto una strategia che punta alla trattativa piuttosto che alle ritorsioni. Lo ha ricordato il segretario per il Commercio e l’Economia britannico Jonathan Reynolds: «Il governo si è concentrato esclusivamente sulla negoziazione di un accordo economico con gli Stati Uniti che rafforzi le nostre attuali relazioni commerciali, eque ed equilibrate». Ha però aggiunto: «Nulla è escluso. Agiremo sempre nel migliore interesse delle aziende e dei consumatori del Regno Unito».
Germania – Molto più critica la posizione tedesca. Il ministro dell’Economia Robert Habeck ha paragonato l’impatto della guerra in Ucraina con quello dei dazi degli Stati Uniti. Per Habeck «si tratta degli aumenti tariffari più destabilizzanti degli ultimi novant’anni». Ha quindi auspicato una reazione compatta e decisa, proprio come nel caso dell’aggressione russa. Habeck ha poi ribadito: «I dazi annunciati dagli Stati Uniti danneggiano l’economia europea e statunitense e il commercio internazionale. Per i consumatori degli Stati Uniti, questa giornata non sarà il giorno della Liberazione, ma il giorno dell’Inflazione. La mania tariffaria degli Stati Uniti può innescare una spirale che può trascinare i Paesi in recessione e causare danni ingenti in tutto il mondo».
Italia – La presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, ha abbandonato la linea morbida e ottimista degli scorsi giorni. I dazi sono «una misura che considero sbagliata e che non conviene a nessuna delle parti» ha detto Meloni. Parlando da leader europea, Meloni ha aggiunto: «Faremo tutto quello che possiamo per lavorare a un accordo con gli Stati Uniti, con l’obiettivo di scongiurare una guerra commerciale che inevitabilmente indebolirebbe l’Occidente a favore di altri attori globali. In ogni caso, come sempre, agiremo nell’interesse dell’Italia e della sua economia, anche confrontandoci con gli altri partner europei». La presidente del Consiglio ha annullato gli impegni previsti oggi in agenda, in modo da poter concentrare la propria attività sui dazi. È in corso una riunione a Palazzo Chigi con i ministri competenti, fra cui Giancarlo Giorgetti (Economia), Adolfo Urso (Imprese), Francesco Lollobrigida (Agricoltura) e Tommaso Foti (Affari europei). All’incontro partecipano anche i due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, in videocollegamento. Un momento chiave per intavolare la trattativa tra Italia e Stati Uniti sarà il 18 aprile, quando arriverà a Roma il vice presidente statunitense J.D. Vance.
Ungheria – Unica voce fuori dal coro è arrivata dall’Ungheria di Viktor Orbán. Il suo ministro degli Esteri, Péter Szijjártó, ha commentato su X: «L’economia europea e i suoi cittadini stanno ancora una volta pagando il prezzo dell’incompetenza di Bruxelles. La Commissione europea avrebbe dovuto negoziare. Hanno avuto due mesi e mezzo di tempo. Non hanno fatto nulla».