Weekend di sommosse e violenze in Iran, dove il bollettino delle vittime dall’inizio delle proteste sale a più di 304 persone, di cui 41 bambini. Gli scontri tra manifestanti e polizia si sono riaccesi il 4 novembre nella provincia del Sistan e Baluchistan, causando almeno 16 morti in quello che l’organizzazione non governativa Iran Human Rights definisce come un altro “venerdì di sangue”. Sono 22 su 31 le province iraniane che contano almeno una vittima dall’inizio dell’insurrezione: le aree più colpite sono il Sistan e Baluchistan (118), Mazandaran (33), Teheran (30), Kurdistan (26) e Gilan (22).
Uccisa a bastonate – La dottoranda di filosofia Nasrin Ghaderi, 35 anni, è stata gravemente ferita da manganellate alla testa durante una manifestazione contro il regime a Teheran ed è morta dopo un giorno di coma. Proprio come Masha Amini, la donna uccisa il 16 settembre dalla polizia religiosa la cui mofrte ha fatto scattare le rivolte, Nasrin proveniva dal Kurdistan iraniano. Secondo Hengaw, ong per i diritti dei curdi con sede in Norvegia, il 5 novembre le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco nella sua città di origine, Marivan, ferendo 35 persone dopo lo scoppio di una manifestazione organizzata in suo nome.
Scontri a Teheran con la polizia (Ansa)
Cinquanta giorni – Nel frattempo, le proteste in Iran non accennano a perdere forza. Dopo quasi due mesi, i manifestanti continuano a riempire le piazze e a opporsi alle forze dell’ordine. Mentre i pasdaran non cessano di sparare e lanciare lacrimogeni per disperdere le folle, non si fermano gli arresti di massa e le sommosse studentesche, nel corso delle quali migliaia di giovani si oppongono con coraggio, anche a costo della vita, a un regime religioso oppressivo al quale non vogliono più sottostare. La scorsa settimana Javaid Rehman, relatore speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell’Iran, ha dichiarato che più di 14.000 persone, tra cui giornalisti, attivisti, avvocati ed educatori, sono state arrestate da quando sono scoppiate le proteste a metà settembre.
Giovani e vecchi – Gli scontri e le proteste nelle piazze iraniane portano in alto il valore resistenza ad un sistema politico dominato da persone anziane, soffocante soprattutto per i giovani. Spesso, tuttavia, sono anche piccoli gesti a fare la differenza: dalla scorsa settimana sui social network sono apparsi tantissimi video in cui si vedono giovani, spesso quasi ragazzini, nell’atto di togliere il turbante ai mullah – rappresentanti del governo religioso- che camminano per strada. Una forma di ribellione apparentemente innocua e banale, ma che esprime con forza la voglia di rottura della tradizione religiosa e politica che domina una società conservatrice. Un gesto che si unisce al celebre taglio dei capelli delle donne iraniane, divenuto virale e preso come simbolo della lotta per la parità di genere a livello globale. Nel frattempo, studenti e studentesse Iraniani mangiano insieme nella mensa dell’università di Tehran.
«Nessuna clemenza» – «Noi, rappresentanti di questa nazione, chiediamo a tutti i funzionari statali, compresa la magistratura, di trattare coloro che hanno mosso guerra e attaccato la vita e la proprietà delle persone come i terroristi del Daesh, in un modo che serva da lezione nel più breve tempo possibile […]». È questo il comunicato firmato da 227 (su 290) parlamentari della teocrazia sciita, che spingono per misure drastiche nei confronti di tutti i dissidenti. Nel frattempo, l’Iran ha incriminato almeno 1.000 persone nella provincia di Teheran per il loro presunto coinvolgimento nelle proteste nazionali. I processi sono pubblici e sono in corso da più di una settimana.