Ripercorrendo la storia delle elezioni americane, si scopre che i candidati repubblicani sono quelli più colpiti da attacchi durante le campagne elettorali. Partendo dall’omicidio di Lincoln passando per Roosvelt, Regan e Bush il partito conservatore è stato vittima di attacchi molto violenti, doppiando per numero quelli subiti dagli esponenti democratici. Arrivando al presente, la storia – e la tendenza – si ripete: Donal Trump ha subito due attentati in 64 giorni.

Vetro antiproiettile protegge Trump ad un comizio

Attentati a Trump – Il primo a Trump è avvenuto il 13 luglio, già divenuta data storica per gli Stati Uniti. Thomas Crooks, appollaiato sul tetto di una rimessa della fiera agricola di Butler, Pennsylvania, ha esploso diversi colpi mortali verso il candidato repubblicano, colpendolo solo di striscio, mentre stava parlando alla folla.Il ventenne, giovane studente di ingegneria e armato del fucile paterno, è stato ucciso subito dopo. Pochi secondi dopo è stata scattata una fotografia già entrata nella storia: Trump, con il pugno chiuso che aizza la folla, mentre viene circondato da agenti del Secret Service, l’ente di sicurezza dedicato ai candidati alla Casa Bianca. Nei giorni successivi il margine di vittoria del tycoon nei confronti dell’ottuagenario Biden è aumentato. Il 21 luglio, 8 giorni dopo, il presidente uscente ha deciso di ritirare la candidatura per fare spazio alla sua vice: Kamala Harris. Il 13 luglio è diventata data di culto per i sostenitori Maga – lo slogan usato da Trump sin dalla sua prima campagna elettorale “Make american great again” –  che ad ogni comizio ora ripetono un nuovo mantra, “Fight, Fight Fight”, citando le parole urlate dal loro beniamino a pochi secondi dall’attentato. Il 15 settembre è tornata la paura di un nuovo attacco, quando nel club di golf dove Trump stava giocando, si sono sentiti colpi d’arma da fuoco. Questa volta l’apparato di sicurezza è stato più efficace: l’attentatore Ryan Routh è dovuto fuggire prima di poter colpire il presidente. Trump inebriato dall’euforia dello sventato pericolo si è lasciato andare, dichiarando: «Dio mi vuole presidente. Gli attentanti sono colpa di Biden e Harris». Musk, sostenitore del tycoon, invece ha posto sul suo social X una domanda volutamente provocatoria: «Perchè nessuno vuole uccidere i democratici?».

I precedenti – Nella storia americana sono quattro i presidenti in carica colpiti mortalmente. Tre di questi sono repubblicani: Garfiel, McKinley e il più noto, Abraham Lincoln, che nel 1865 fu ucciso dall’attore John Booth, mentre era seduto nel suo palchetto al Ford’s Theatre di Washington. Tra le vittime si conta solo un democratico, John F. Kennedy, assassinato a Dallas nel 1963 dall’ex marine Lee Harvey Oswald. Gli attentati non mortali a candidati o presidenti sono invece dieci: sette di questi a repubblicani. Thedore Roosvelt nel 1912 fu colpito svariate volte al petto da John Schrank poi considerato dai giudici incapace di intendere e di volere. Il ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti si salvò perchè aveva nella tasca interna della giacca il discorso ripiegato che avrebbe dovuto tenere. Roosvelt nonostante il colpo subito, riuscì a tenere quel comizio parlando a braccio per 90 minuti. Più recentemente, nel 1981 Ronald Regan fu vittima dello squilibrato John Hinckley, capace di ferire il presidente ed ancor più gravemente il suo portavoce James Brady. Regan pochi mesi dopo approvò la legge Brady, testo che poneva alcuni limiti nell’utilizzo delle armi. Unica occasione nella storia repubblicana. Nel nuovo millennio George W. Bush fu vittima di un’insolito attacco quando sul palco della piazza principale di Tibilisi fu raggiunto da una granata lanciata dal fanatico Vladimir Arutunian, rimasta inesplosa.