Le gang si scusano con la popolazione e puntano il dito contro il presidente Noboa. Uno dei tanti gruppo di criminali dell’Ecuador, tra i presunti responsabili degli attacchi indiscriminati nel Paese, ha pubblicato un video in cui si scusa per le violenze degli ultimi giorni che hanno provocato almeno 13 morti. La responsabilità, dicono le gang, sarebbe però del neopresidente: «Un ragazzo ricco con il suo ego da supereroe».

Seguire il modello della Colombia – In un video diffuso dal gruppo si vedono una ventina di uomini riuniti attorno a un loro compagno che, senza mostrare il volto, legge un comunicato: «Salutiamo l’intero Paese e ci scusiamo per i disordini, soprattutto a voi poveri, che siete i più colpiti». Nel messaggio viene attaccato il capo dello Stato e si fa riferimento a possibili negoziati con il governo sull’esempio di altri Paesi. «La Colombia ha accordi con gli Stati Uniti e ha fatto trattati di pace con le Farc, guerriglieri e paramilitari, mentre tu vuoi uccidere e far uccidere il popolo ecuadoriano per il tuo dannato ego». E aggiunge: «Sai cos’è un accordo di pace? Serve a porre fine a uno scontro armato tra due nazioni o organizzazioni con l’obiettivo di una vita migliore». Ma il Presidente Noboa non sembra essere disposto ad allentare la lotta contro le organizzazioni criminali. Il governo sta per presentare il progetto per la costruzione di due nuovi carceri di massima sicurezza e le Forze armate ecuadoriane hanno fatto sapere che cinque criminali sono stati uccisi e 329 arrestati nelle operazioni effettuate dopo il narcogolpe che ha colpito il Paese.

Stato di emergenza – In Ecuador si sta assistendo a una prova di forza tra Stato e criminalità organizzata. Hanno subito varcato i confini nazionali le immagini del commando che il 9 gennaio ha fatto irruzione nella sede di Guayaquil del canale TC Televisión, sequestrando giornalisti e tecnici e minacciandoli con armi e granate. Uno dei giovani criminali aveva dichiarato dritto in camera: «Perché vi ricordiate che non si gioca con le mafie». Una minaccia, un avvertimento rivolto al presidente Daniel Noboa che il giorno precedente, nella serata dell’8 gennaio, aveva dichiarato lo stato di emergenza, e imposto il coprifuoco in tutto il territorio nazionale dalle 22 alle 5 del mattino. Una misura che si è tradotta nella mobilitazione sia per strada che nelle carceri dei militari a supporto delle operazioni di polizia. Ma anche nella sospensione dell’inviolabilità del domicilio e della corrispondenza, così come quella della libertà di associazione per una durata di 60 giorni. .

La lotta alla criminalità – Alle mosse delle gang, è seguita la dura reazione del governo. Il 36enne Daniel Noboa, il più giovane presidente dell’Ecuador, aveva fatto della lotta alla criminalità organizzata il suo cavallo di battaglia durante la campagna elettorale per la presidenza. L’obiettivo di riportare la sicurezza nel Paese si sarebbe dovuto realizzare con il Plan Fénix: un piano da 800 milioni di dollari, con un contributo di 200 milioni dagli Usa per l’acquisto di nuove armi per l’esercito. Tra le misure previste nel Plan Fénix c’è la creazione di una nuova unità di intelligence, la fornitura di armi tattiche per le forze di sicurezza e, soprattutto, nuovi istituti di massima sicurezza, incluse le “navi-prigione” a 120 chilometri dalla costa dove sarebbero stati ricollocati i boss, sul modello del maxi-carcere di Cecot nel El Salvador del presidente Bukele.

La fuga dei leader – Proprio l’inasprimento delle misure penitenziarie sarebbe il motivo che ha spinto il detenuto Adolfo Macías, chiamato Fito, a evadere dal carcere di massima sicurezza El Litoral nella città costiera di Guayaquil. Macías è il leader della banda criminale Los Choneros, braccio armato del cartello messicano di Sinalao, ed è stato condannato nel 2011 a una pena di 34 anni per diversi reati, tra cui traffico di droga e omicidio. Già fuggito di prigione nel 2013, Fito, che controlla circa 8 mila affiliati, era il vero padrone dell’istituto penitenziario da cui è evaso e dove, tra cerimonie e feste, ha anche superato gli esami da avvocato. La scoperta della scomparsa di Fito, che si era fatto sostituire in carcere da un sosia, è avvenuta solo domenica 7 gennaio, ma la fuga risale probabilmente a molto prima. La mattina seguente sono scoppiate rivolte in sei istituti penitenziari dove un centinaio di guardie sono state sequestrate dai detenuti. La violenza è esplosa anche nelle strade con saccheggi, rapine, e sparatorie in aree commerciali. Martedì 9 gennaio è evaso dal carcere di Riobamba anche Fabricio Colón Pico, insieme ad altri 31 detenuti. È il capo di Los Lobos, cellula locale del cartello Jalisco nueva generación, ed era stato accusato dalla Procuratrice generale dello stato, Diana Salazar, pochi giorni prima della fuga, di stare pianificando il suo assassinio. Poi è stata la volta dell’attacco allo studio televisivo, mentre poco lontano una gang dava l’assalto all’Università, e una fila di vetture veniva incendiata tra una folla di persone che si è data alla fuga terrorizzata. A Guayaquil in totale sono stati ventinove gli edifici bersaglio delle bande, tra cui cinque ospedali, mentre nella capitale Quito un ponte pedonale è saltato in aria e sono stati sventati tre attentati con autobombe sono stati sventati, numerosi esercizi della zona sud sono stati saccheggiati. In sei carceri, i detenuti si sono ribellati e hanno sequestrato un centinaio di guardie. 

Pugno di ferro e criticità – Alla violenza scatenata dalle gang non si è fatta attendere la risposta del Governo. Il Presidente Noboa ha rincarato la dose e, dopo lo stato di emergenza, ha dichiarato anche il conflitto armato interno, che consente il dispiegamento dell’esercito, e ha dato il via libera a operazioni militari per “neutralizzare” 22 gruppi criminali che sono stati definiti come gruppi terroristici. Per soldati e poliziotti che stanno provando a ristabilire l’ordine è stata dichiarata “impunità e amnistia”: possono quindi sparare liberamente. È stato anche annunciato che nelle prossime settimane 1.500 detenuti stranieri saranno rimpatriati. Secondo gli analisti la stretta del governo non farà altro che aggravare la situazione e aumentare la violenza e, alla fine, Noboa sarà comunque costretto a trattare con i narcos. Nel frattempo le strade delle città si sono svuotate, i cittadini sono state invitati a fare smart working e almeno fino a domani tutte le scuole sono chiuse.