Centrosinistra in vantaggio nelle elezioni presidenziali in Ecuador. Secondo i primi exit poll il candidato Andrès Arauz guida la corsa con il 35%-36%, davanti a Guillermo Lasso (centrodestra, 21%-21,7%) e Yaku Pérez Guartambel (partito degli Indios,10%-15%). Le urne sono state aperte ieri mattina, 7 febbraio, alle 7.00 (ore 13.00 italiane) e verranno chiuse l’8 febbraio alle 17.00 (le 23.00 in Italia). Sono chiamati a votare oltre 13 milioni di aventi diritto. Di questi il 3% si trova all’estero, 90.000 solo in Italia.

Andrés Arauz, candidato della coalizione di centrosinistra

L’erede di Correa – La partita si gioca su tre fronti differenti: progressista, conservatore e democratico. A portare in alto la bandiera del centrosinistra c’è Andrés Arauz, il favorito. Quest’ultimo, esponente della coalizione Unes (Unione per la speranza), è un giovane economista classe 1984, indicato come diretto successore dall’ex presidente Rafael Correa. Nonostante i giochi non si siano ancora conclusi Arauz si è già proclamato vincitore sui social. «Abbiamo vinto! Vittoria decisiva in tutte le regioni del nostro bel Paese. La nostra vittoria è di 2 a 1 contro il banchiere. Auguri al popolo ecuadoriano per questa festa democratica. Aspettiamo i risultati ufficiali per festeggiare», ha dichiarato il candidato di centrosinistra sul suo profilo Twitter.

 

Guillermo Lasso, candidato del centrodestra

Guillermo Lasso – Il “banchiere” nominato da Arauz è il suo diretto avversario e acerrimo nemico Guillermo Lasso, noto imprenditore ed ex ministro dell’Economia negli anni Novanta, a capo della coalizione di centrodestra Creo (Creando oportunidades). Già in passato aveva cercato di raggiungere la massima carica dello Stato, due tentativi che non sono andati a buon fine.

 

 

 

Yaku Pérez, leader del partito Pachakutik e attivista per i diritti degli Indios

Il partito Indios – Arriviamo al terzo giocatore in gara, Yaku Pérez Guartambel. Decisamente più staccato rispetto agli altri due candidati, secondo i sondaggi Pérez ha agguantato il 10%-15% dei consensi popolari. Stiamo parlando di un personaggio fuori dai soliti schemi politici, attivista dei diritti degli Indios e leader del partito Pachakutik. Sebbene sia ancora in corsa e nulla è deciso, la sua vittoria sembrerebbe quasi impossibile.

 

 

 

Gli ex presidenti – Alle spalle di Andrés Arauz e Unes, il partito progressista di centrosinistra, ci sono due personaggi che hanno dominato la scena politica nazionale, Rafael Correa e Lenin Moreno. Due ex presidenti dem che hanno condizionato, nel bene e nel male, l’andamento politico, economico e sociale del Paese negli ultimi 13 anni. Correa è salito al potere nel 2007 per rimanerci fino al 2017. Dieci anni di governo in cui ha potenziato notevolmente il settore agricolo, il sistema di assistenza sanitaria e l’istruzione. Il suo governo ha anche provveduto a sequestrare una società a una potente famiglia ecuadoriana coinvolta in uno scandalo bancario negli anni ’90. Con il crollo economico del 2008, Correa ha dovuto invertire la rotta e adottare delle misure di austerità che lo hanno reso impopolare agli occhi del Paese. Qualche anno più tardi, nel 2012 è stato al centro del mirino dell’opinione pubblica mondiale per via del caso Julian Assange. L’allora presidente della Repubblica aveva garantito asilo al fondatore di Wikileaks, destando la disapprovazione dei leader internazionali. Nonostante la crisi incalzante e le proteste popolari, Correa nel corso di un decennio è sempre riuscito a vincere le elezioni, fino al 2017, quando ha lasciato la propria eredità governativa a Lenin Moreno. Nell’aprile di quell’anno i due sono stati coinvolti in uno scandalo elettorale che ha smosso la Nazione intera. Guillermo Lasso, il candidato conservatore, aveva accusato gli avversari dem di aver truccato le elezioni, chiedendo un conteggio ulteriore dei voti. Le sue richieste sono cadute nel dimenticatoio e Moreno è stato incaricato della presidenza senza se e senza ma. Il suo rapporto con l’Unes, però, si è deteriorato nel tempo, volendosi accostare a una visione politica sempre più moderata e lontana dal partito. Nel frattempo Rafael Correa non ha smesso di far parlare di sé e non positivamente. Nel 2020 l’ex presidente è stato condannato in contumacia a otto anni di carcere, con una seria di capi di imputazione, tra cui tentato rapimento di un oppositore nel 2012 e corruzione.