erdogan1Domenica 7 giugno si terranno in Turchia le elezioni legislative per il rinnovo del Parlamento. Ancora una volta è dato in vantaggio il partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), da 12 anni al comando. L’Akp, considerato di orientamento islamista moderato, ha vinto con percentuali sempre crescenti le ultime tre elezioni legislative a partire dal 2002. Il suo leader, Recep Tayyip Erdogan, è anche il Presidente della Repubblica, dopo aver vinto il 10 agosto 2014 le prime elezioni dirette del presidente che in precedenza era nominato dal Parlamento.

Le due principali forze di opposizione sono il Partito Popolare Repubblicano (Chp) e il partito del movimento nazionalista. Secondo i sondaggi, il primo dovrebbe ottenere circa il 28% dei gradimenti, mentre il secondo è sicuro di ottenere almeno la doppia cifra. La novità è il partito democratico dei popoli (Hdp), nato dall’unione della sinistra con le forze politiche filo-kurde, che si presentano per la prima volta uniti alle elezioni nel tentativo di superare la soglia di sbarramento del 10 percento prevista dalla legge turca per ottenere l’ingresso in parlamento.

Se l’Hdp, che i sondaggi danno in bilico fra il 9 e il 12 percento delle intenzioni di voto, riscuoterà successo alle urne e otterrà dei seggi in Parlamento, il partito del presidente Erdogan rischia di perdere la maggioranza assoluta necessaria per modificare da solo la Costituzione. Il leader dell’Akp potrebbe quindi non avere i numeri necessari per approvare la riforma costituzionale da lui voluta che prevede super poteri per il presidente della repubblica. In questo contesto si spiegano gli attacchi quotidiani di cui è oggetto l’Hdp da parte del leader dell’Akp. L’ultimo è arrivato a soli quattro giorni dalle elezioni di domenica: in un comizio a Bingol il presidente turco ha accusato i giornalisti del gruppo di media Dogan, la lobby armena, e gli omosessuali di essere “rappresentanti della sedizione” e “principali alleati” dell’Hdp.

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Le elezioni in Turchia negli ultimi anni sono state caratterizzate da una escalation di violenze e proteste, con ripetute denunce di brogli elettorali. Il dissenso è espresso soprattutto sui giornali, per lo più stranieri, e sui social network, che per questo sono spesso attaccati dal leader turco. Risale solo a mercoledì 3 giugno l’ultima accusa a New York Times, Bbc e Cnn di essere al servizio di “certi poteri” e di voler “indebolire la Turchia, dividerla e disintegrarla, per poi divorarla”. Twitter, facebook e youtube sono stati spesso oscurati alla vigilia delle elezioni e gli autori di post e tweet di critica al Presidente sono stati perseguiti in tribunale. Diverse le testate turche di opposizione nel mirino, gli editori e direttori minacciati con il carcere e i giornalisti censurati e licenziati.

La Turchia, già al 149° posto su 179 Paesi per la la libertà di stampa, detiene il primato per il numero dei giornalisti incarcerati: 40. L’ultimo esempio è il caso del direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dundar, che rischia addirittura l’ergastolo per aver pubblicato il 4 giugno, in un reportage dal titolo “Il momento in cui lo Stato è finito”, un video, girato nel gennaio 2014, che mostra la consegna di una fornitura di armi da parte dell’intelligence turca (Mit) ai ribelli siriani. Lo scoop ha messo in imbarazzo alla vigilia del voto il governo turco che ha sempre sostenuto si trattasse di aiuti umanitari. Lo stesso Erdogan, dopo aver minacciato in tv che il direttore l’avrebbe pagata cara, lo accusa di spionaggio e rivelazione di info riservate.

“Il colpevole sono io”. Così redattori e intellettuali protestano sulla prima pagina del Cumhuriyet contro l’accusa di spionaggio mossa al direttore Can Dundar

Le reazioni non si sono fatte attendere, sia sul web che sulla carta stampata. Trenta personalità turche, tra cui il premio nobel per la letteratura Orhan Pamuk, si sono dichiarati corresponsabili in un gesto di solidarietà verso Dundar. Una talpa del governo, che cela la propria identità dietro lo pseudonimo Fuat Avni, ha pubblicato su Twitter i nomi di 324 scrutatori che sarebbero stati incaricati dal partito di Erdogan di truccare il voto domenica. Sempre sui social sono diventate virali le espressioni di dissenso contro alcune dichiarazioni, ritenute sessiste, del presidente che in diverse occasioni ha criticato le donne che ridono in pubblico o quelle che in segno di protesta gli hanno voltato le spalle mostrando il segno della vittoria. L’ultimo è arrivato mercoledì da parte dell’ordine dei veterinari che, in risposta al governo che aveva incolpato un gatto dei ripetuti black out verificatisi nelle elezioni del 2014, ha pubblicato un comunicato in cui si ammoniscono “gli amici gatti” di stare lontano dai trasformatori elettrici altrimenti “saremo costretti a riconsiderare il nostro rapporto amichevole”.

Alessia Albertin