L’8 giugno, anche se il conteggio delle schede delle elezioni alla presidenza del Perù non era ancora finito, il candidato della sinistra radicale, Pedro Castillo, si è proclamato vincitore. A due giorni dalla chiusura dei seggi, il leader del partito Perù Libero aveva ottenuto il 50,2 per cento dei voti sul 99 per cento di schede scrutinate. Uno scarto minimo – poche decine di migliaia di voti – rispetto al 49,8 per cento della sua avversaria, Keiko Fujimori, alla guida del partito populista di destra Forza Popolare, che si è ampliato nei giorni successivi. Secondo i dati ufficiali più recenti, alle ore 16:30 locali (22:30 in Italia) sul 99,82 per cento delle schede scrutinate, Castillo aveva un vantaggio di 67 mila voti. Ma l’esponente di sinistra potrebbe aver fatto male i suoi conti: Fujimori ha chiesto al Tribunale nazionale elettorale (Jne) l’annullamento di 200 mila voti. Avrebbe ricevuto nelle ultime 48 ore segnalazioni su alcune irregolarità nel processo elettorale che renderebbero nulli i risultati dello scrutinio.

Rivali inaspettati – Il ballottaggio di domenica 6 giugno ha visto sfidarsi Castillo e Fujimori dopo che i due avevano passato il primo turno elettorale rispettivamente con il 19 e il 13 per cento. Solo un mese fa, i due aspiranti presidenti non erano tra i favoriti, o per lo meno non abbastanza da arrivare all’ultimo turno. Non solo, ma secondo i sondaggi Castillo poteva far affidamento su un maggior vantaggio rispetto alla sua avversaria. Poi, il 23 maggio un evento drammatico ha influenzato l’opinione pubblica del Paese. A San Miguel del Ene, un piccolo centro a 330 chilometri a est di Lima, 16 persone sono rimaste uccise in un attentato attribuito a Sendero Luminoso. Si tratta di un gruppo terroristico di estrema sinistra, nato nel 1980, di ispirazione marxista, leninista e maoista. Ma soprattutto, accanto ai corpi delle vittime, alcuni bigliettini lasciati dagli attentatori incitavano a non andare a votare al ballottaggio. Riportavano la firma del Comitato centrale del Partito comunista militarizzato del Perù, fazione interna dello stesso Sendero Luminoso.

Keiko Fujimori, leader di Forza Popolare (EPA/Sebastian Castenada)

La mossa di Fujimori – La leader di Forza Popolare, figlia d’arte – in Perù non si dimenticano facilmente gli anni autoritari della presidenza del padre Alberto, alla guida del Paese tra il 1990 e il 2000 e attualmente in carcere per corruzione e violazione dei diritti umani – ha preso la palla al balzo. Il riferimento al ballottaggio sui biglietti incriminati ha rappresentato il movente perfetto per accusare Castillo di avere legami coi militanti ritenuti responsabili del massacro. La campagna elettorale incentrata sulla necessità di riportare l’ordine nel Paese e il ricordo dell’impegno paterno nella lotta contro il terrorismo di estrema sinistra hanno fornito la cornice perfetta.

Il programma di Castillo – Da parte sua l’autoproclamatosi nuovo presidente del Paese ha negato qualsiasi legame con Sendero Luminoso. Difatti, nonostante lo spostamento di una parte dell’elettorato verso destra, l’ex insegnate cinquantunenne è riuscito a portare a casa – almeno per il momento – il consenso della maggior parte dei peruviani. Si è rivelato vincente il programma di ispirazione marxista, con la promessa di eliminare le diseguaglianze sociali tra ricchi e poveri, di stabilire il controllo statale sull’industria e di nazionalizzare l’estrazione mineraria. «Un’anima fraterna e un compagno nella lotta» lo ha definito l’ex presidente boliviano Evo Morales nel suo messaggio di congratulazione per il successo elettorale. Intanto, la commissione elettorale ha iniziato il processo di revisione delle schede contestate da Fujimori, ultima speranza per le sorti politiche della leader populista.