Ankara e probabilmente anche Instanbul tornano all’opposizione. Domenica 31 marzo i turchi sono stati chiamati alle urne per votare i sindaci. Quella che doveva essere un’ennesima prova di forza elettorale da parte del presidente Recep Tayyip Erdogan si è trasformata in una sconfitta.

Roccaforti perse – Ankara, capitale della Turchia, è stata governata per un quarto di secolo dall’AKP, il partito conservatore legato a Erdogan. Le elezioni amministrative di ieri hanno sancito la fine di questo dominio: nella capitale l’ex ministro Mehmet Ozhaseki è stato sconfitto da Mansur Yavas.
Smirne resta al partito repubblicano (Chp) che conquista anche Adana e Antalya sulla costa mediterranea. Instanbul in bilico tra Ekrem Imamoglu e l’ex premier Binali Yildirim, sostenuto da Erdogan. 84 sono i seggi rimasti da scrutinare: il favorito del presidente sarebbe stato sconfitto dall’opposizione ma attualmente lo scrutinio è sospeso perché sono in corso contestazioni.

Il presidente – Dal balcone del quartier generale del suo partito il presidente ha esultato dichiarando di aver ottenuto la vittoria nel 56% dei comuni. Nel 1994 Erdogan era salito al potere proprio con la carica di sindaco di Instanbul. Poi la scalata fino all’instaurazione di un regime presidenziale. Da anni il presidente, anche detto “Il Sultano”, chiama i cittadini alle urne per riaffermare, attraverso un meccanismo democratico, la sua presa totale sul Paese. Dopo il tentativo di colpo di stato nel 2016 e la durissima repressione attuata nei confronti di oppositori e sospettati, le elezioni convocate anticipatamente nel giugno 2018 avevano confermato il presidente con oltre il 50% dei voti. Ma questa volta forse il gioco non è riuscito. Per questo Erdogan ha dichiarato che non ci saranno nuove elezioni prima di quattro anni e mezzo.

La crisi economica –  I cittadini hanno iniziato a spostarsi verso l’opposizione. Se la repressione del dissenso aveva ottenuto lo scopo, è stata la recessione economica, secondo molti osservatori, a spingere i turchi a bocciare l’operato di Erdogan, incolpato di aver portato il Paese sull’orlo della rovina. Il partito Giustizia e Sviluppo non sta rispettando le promesse: l’inflazione oscilla sul 20 per cento e la disoccupazione sul 12%. Dati allarmanti che non possono essere giustificati di fronte agli elettori incolpandone le potenze straniere, a cominciare dagli Stati Uniti.

Consiglio d’Europa – Intanto Andrew Dawson, portavoce del Consiglio d’Europa per la missione di controllo elettorale in Turchia fa sapere che l’organizzazione internazionale (a tutela della democrazia e dei diritti umani) «non è pienamente convinta che attualmente in Turchia ci sia l’ambiente elettorale libero e giusto che è necessario per elezioni genuinamente democratiche in linea con i valori e i principi europei».