«Mi piacerebbe che potessero perdere entrambi». A dirlo è un’ebrea ortodossa di Brooklyn in una dichiarazione al quotidiano israeliano Haaretz, ma le sue parole sembrano riassumere il desiderio-dilemma di molti fedeli americani di ogni credo religioso.
Hillary Clinton, la candidata democratica, cresciuta di fede metodista, è da sempre liberal e pro choice: accetta le teorie gender, difende il diritto all’aborto e si propone come paladina dei diritti degli omosessuali. Il candidato repubblicano Donald Trump si mostra poco religioso e si è sposato tre volte, vuole incarnare il conservatorismo ma ha un passato da abortista. Lo scorso febbraio si è scontrato con Papa Francesco: «Una persona che pensa a fare muri e non ponti, non è cristiana» aveva dichiarato il pontefice commentando il progetto trumpista di costruire un muro sul confine messicano per fermare l’immigrazione. Il tycoon, in risposta, aveva invitato il Papa a vergognarsi per averlo giudicato.
Chi scegliere come nuovo inquilino della Casa Bianca? Secondo un sondaggio del Pew Research Center non mostrarsi ateo è molto importante per diventare presidente degli Stati Uniti. Il 51 per cento degli elettori americani ammette che avrebbe difficoltà a votare un candidato non credente, mentre solo il 6 per cento lo considererebbe un pregio. Non è un caso che sia Clinton che Trump abbiano scelto come vicepresidenti figure forti dal punto di vista della fede, entrambe cristiane. Mike Pence, repubblicano, è stato educato da cattolico ma si è poi convertito all’evangelismo. L’ex segretaria di Stato sarebbe affiancata invece da Tim Kaine, cattolico praticante di formazione gesuita. C’è di più: il quotidiano britannico The Economist riporta che il 51 per cento degli americani in generale ritiene importante che il presidente condivida le loro specifiche convinzioni religiose. La percentuale sale se si considera l’elettorato repubblicano (64 per cento), mentre cala tra i democratici (41 per cento). È pur vero che nel complesso gli elettori interessati a questo aspetto sono in calo costante: oggi sono il 51 per cento, nel 2007 erano il 63 per cento.
Per quanto riguarda il voto dei cristiani, il fattore religioso conta molto anche al Congresso: sostiene il quotidiano online Lettera43, citando fonti statunitensi, che nonostante tra i cittadini solo il 73 per cento si dichiari cristiano, tra i deputati la percentuale sale al 92 per cento. Nel Congresso eletto nel 2015, il fronte democratico conta 32 deputati non cristiani – musulmani, buddisti, induisti, ebrei, un’atea – mentre sul fronte repubblicano se ne conta soltanto uno. Robert Jones, componente del Public Religion Research Institute prevede che tra i cristiani bianchi Trump avrà successo grazie alla sua capacità di far leva sulle loro insicurezze, poiché temono di esser sempre meno influenti nella vita del Paese. Sembra che il motto repubblicano “Fare l’America di nuovo grande” evochi proprio quest’intenzione di restituire rilievo e prestigio ai cristiani bianchi, per la maggior parte protestanti evangelici. Il voto cattolico è invece da sempre uno swing vote, un voto in movimento che i partiti devono conquistarsi di volta in volta, conteso tra i valori democratici dell’assistenzialismo sociale e le posizioni repubblicane pro life, a difesa della vita. Sono sempre di più gli elettori che si definiscono cattolici di nome ma non sono praticanti, così come i cosiddetti “cattolici ideologici”, quelli che nel votare danno la precedenza a considerazioni di carattere politico rispetto all’appartenenza religiosa.
Un’indagine effettuata ad agosto tra gli elettori registrati e pubblicata recentemente dal Corriere della Sera vedrebbe Trump vincente tra i protestanti (76 per cento repubblicani, 20 per cento democratici) e tra i mormoni (69 per cento repubblicani contro il 24 per cento di democratici). Tra i cattolici si gioca un testa a testa che vede Trump in vantaggio di un punto percentuale. Se Trump conserva il voto degli evangelici, la salvezza dell’ex first lady dovrebbero essere i cattolici ispanici, i protestanti afroamericani e gli atei. I sondaggi sono incerti e contrastanti. Quel che è certo è che anche la religione è stata coinvolta nella violenza che ha caratterizzato questa campagna elettorale: la diocesi cattolica di San Diego ha dovuto denunciare un parroco per aver dichiarato dal pulpito che votare democratico è peccato mortale e che gli elettori della Clinton finiranno all’inferno.