Donald Trump

Donald Trump

Un risultato storico. In attesa dello spoglio degli ultimi 20 seggi della Camera, i democratici possono tirare un sospiro di sollievo. Per le elezioni di midterm si preannunciava un tracollo del partito del presidente, data la scarsa popolarità di Joe Biden e il malcontento per l’inflazione che il governo sta faticando a contenere. I democratici, invece, sono riusciti a mantenere una risicatissima maggioranza al Senato, grazie alla riconferma di Catherine Cortez Masto, senatrice del Nevada, e il successo di John Fetterman in Pennsylvania, storico feudo repubblicano. I seggi a loro destinati, quindi, sono già 50, cui si potrebbe aggiungere quello della Georgia che verrà assegnato a dicembre. Ma anche in caso di vittoria repubblicana nello Stato di Atlanta, i democratici la spunterebbero 51 a 50 grazie al voto della vicepresidente Kamala Harris (che entra in gioco in caso di parità). Discorso diverso, invece, alla Camera, dove però i repubblicani sono in vantaggio di soli sette seggi (211 a 204). Anche qui, dunque, si tratterebbe di una maggioranza stretta, mentre si attendeva una valanga. Un vero e proprio successo, allora, per i dem: se si considerano i precedenti, soltanto in tre occasioni –  1934,1962 e 2002 – il partito del Presidente non ha perso seggi al Senato (o li ha guadagnati), perdendone meno di 10 alla Camera.

Lo scontro – La vittoria di Cortez Masto inguaia non solo i repubblicani, che erano convinti di una facile vittoria, ma soprattutto Donald Trump. La posizione dell’ex presidente, la cui leadership all’interno del partito era in bilico già da qualche tempo, è stata resa ancora più traballante dalla sconfitta. Chris Christie, ex alleato di Trump, è stato il primo ad attaccare il tycoon newyorkese. Come riporta il Corriere della Sera, l’ex governatore del New Jersey ha imputato a Trump la sconfitta alle midterm del 2018, alle presidenziale del 2020 e il deludente risultato dell’ultima tornata elettorale: «C’è solo una persona da biasimare per tutto ciò: il nostro ex presidente». Oltre che da Chrstie, la posizione di Trump è insidiata anche da Ronald DeSantis, appena rieletto governatore della Florida. DeSantis, presentato dalla stampa come un Trump edulcorato, era stato eletto nel 2018 con il sostegno dell’allora inquilino della Casa Bianca, ma ora sembra il più accreditato rivale di Trump, avendolo attaccato duramente sia prima che dopo il voto dell’8 novembre. Anche Chuck Grassley, senatore dell’Iowa e uomo di fiducia di Trump, si è lasciato andare a un commento che suona di rimprovero: «Basta parlare del 2020», con un chiaro rifertimemnto alla continua litania di Trump sui presunti brogli elettorali delle elezioni che hanno portato alla vittoria di Biden. Dal canto suo, The Donald non sembra intenzionato a farsi da parte e anzi si è scagliato contro Mitch McConnell, leader dei repubblicani al Senato e reputato responsabile del fallimento della campagna elettorale del suo partito. Del resto, la maggioranza dei candidati voluti da Trump è risultata vincitrice. E domani, 15 novembre, è attesa la sua candidatura ufficiale in vista delle presidenziali del 2024.

Il presidente – Dall’altra parte della barricata, considerato che gli indici di gradimento di Biden si aggiravano intorno a un non esaltante 40%, i democratici possono essere soddisfatti del risultato – che include anche la conquista di Massachussets e Maryland  e di quattro legislature statali- e tornano all’attacco di Trump. Nancy Pelosi, speaker della Camera, ha detto che una nuova candidatura di Trump non sarebbe positiva per gli Usa anche se ovviamente la decisione spetta ai repubblicani. Il risultato elettorale, inoltre, rilancia Joe Biden anche sul piano internazionale. Lo stesso presidente ha osservato che «l’esito di midterm mi dà forza davanti a Xi» («Corriere») nell’incontro con il leader cinese in programma a Bali nell’ambito del G20. La maggioranza al Senato, inoltre, mette al riparo il presidente e suo figlio Hunter da possibili indagini aperte dalla Camera (che il Senato può respingere) e gli dà la possibilità di alzare il tetto del debito pubblico, provvedimento osteggiato dai repubblicani.