A un anno dallo scoppio della guerra civile che ha messo in discussione la geopolitica del Corno d’Africa, la situazione in Etiopia torna a preoccupare la comunità internazionale. L’avanzata dei ribelli del Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf), dopo aver conquistato città cruciali per l’accesso alle rotte commerciali come Dessie e Kombolcha, rende verosimile un attacco ad Addis Abeba. La disfatta della capitale etiope distruggerebbe definitivamente il già fragile equilibrio interetnico costruito dal primo ministro Abiy Ahmed, Nobel per la Pace nel 2019 e fresco di rielezione lo scorso luglio. Abiy per ora contrattacca dichiarando uno stato di emergenza di sei mesi in risposta proprio all’avanzata delle truppe tigrine verso la capitale, appellandosi ai cittadini affinché difendano la città dall’ingresso delle truppe separatiste. Lo stesso segretario dell’Onu Antonio Guterres ha parlato di gravi rischi per «la stabilità del Paese e dell’intera regione», e ha chiesto «l’immediata cessazione delle ostilità, accesso umanitario illimitato e dialogo nazionale».

Motivi della crisi – L’attuale avanzata tigrina verso Addis Abeba è solo l’ultimo capitolo di una guerra basata sulle tensioni interetniche che affliggono l’Etiopia da decenni, e che nel tempo hanno incrinato anche le ambizioni di unità nazionale che animavano il primo ministro Abiy. Nel 2018, dopo la sua prima elezione, Abiy è stato il fautore dello scioglimento dell’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front, un blocco politico che vedeva fra le sue forze di maggior peso proprio il partito tigrino (Tplf). La scelta di Abiy di sciogliere il partito e dare vita a una formazione che superasse le logiche di divisione etnica non ha incontrato i favori del Tpfl, espressione di una regione che incide sul 6% della popolazione etiope (circa 7 milioni di persone nel 2020) ma gode di un’influenza notevole negli equilibri nazionali. La vera scintilla che ha fatto scoppiare i conflitti ancora oggi in corso è costituita dagli attacchi alle basi militari etiopi nell’ottobre 2020, episodio che ha spinto ufficialmente Abiy a reagire con l’invio delle truppe a nord. L’operazione militare ha coinvolto anche contingenti in arrivo dall’Eritrea, il Paese confinante ed ex avversario della stessa Etiopia, oltre a truppe della regione Ahamara. Il blitz previsto da Abiy è poi degenerato consentendo alle forze tigrine, a otto mesi dall’inizio delle ostilità, di riprendere il controllo della capitale della regione del Tigrai, Macallè. Nello stesso mese il governo di Addis Abeba ha isolato completamente il Tigrai, bloccandone l’accesso a beni commerciali e aiuti umanitari, producendo quello che il report delle Nazioni Unite analizza in termini di «severo impatto socio-economico sulla regione». Secondo dati risalenti a ottobre scorso, le persone ridotte alla fame sono almeno 500.000, anche in conseguenza dell’impossibilità per l’Onu di raggiungere Macallè con aiuti umanitari.

Rischi e conseguenze – Tenuto conto che Addis Abeba è la sede dell’Unione africana, l’organizzazione che riunisce i 55 Paesi del Continente. e allo stesso tempo è uno snodo decisivo a livello logistico e commerciale, la sua caduta avrebbe effetti rilevanti su tutto il Corno d’Africa. In più, essendo considerata una fra le economie africane più promettenti grazie al tasso di crescita del Pil che ha toccato picchi di +10% fino al 2018, la sua defezione metterebbe fine all’agenda riformista di Abiy che prevede la modernizzazione del tessuto produttivo. Inoltre, non è da escludere che il caos etiope non si sommi alla ribalta delle milizie di al-Shabaab in Somalia e al golpe militare che è tornato a scuotere il Sudan.