«Sono menzogne, tutto quello che dite sono menzogne». Ratko Mladic si è rivolto così ai giudici del Tribunale dell’Aia, mentre veniva condannato all’ergastolo per essere stato il responsabile del genocidio di Srebrenica durante la guerra civile in Bosnia ed Erzegovina (1995). La sentenza è arrivata al termine di un’udienza movimentata dagli attacchi verbali dell’imputato ai giudici e dalle insistenti richieste di sospensione dei lavori da parte dei suoi legali.

Tensione in aula – Non è stata una giornata tranquilla per i giudici dell’Aia, fin dall’arrivo in aula dell’ex generale serbo: sorriso in volto e pollice alzato, Mladic si è presentato così alla stampa come a ribadire la sua estraneità ai fatti contestati e comunque di non riconoscere la validità del processo. La lettura della sentenza è slittata di un’ora e mezza a causa delle continue interruzioni chieste dalla difesa: la prima per permettere all’ex generale di andare in bagno, la seconda per motivi di salute (pressione sanguigna troppo alta dell’imputato).

La sentenza – I giudici hanno respinto ogni tipo di richiesta e sono andati avanti. Mladic si è alzato in piedi, il braccio sinistro vicino all’orecchio per ascoltare la traduzione. Poi è partita l’accusa contro il presidente del tribunale.  «È tutto falso», ha urlato più volte. E più volte è stato richiamato all’ordine prima di essere espulso e accompagnato a seguire la diretta del processo dal televisore di una stanza attigua all’aula. Da lì, chuso tra quelle quattro mura, ha conosciuto il suo destino: carcere a vita.

Il genocidio di Srebrenica – Giacca scura, camicia bianca e cravatta rossa, Mladic ha ascoltato le atrocità evocate dal giudice Orie: dalle esecuzioni di massa alle torture di detenuti, alle deportazioni, agli stupri etnici. L’ex generale è stato riconosciuto colpevole di di 10 su 11 capi di accusa. Membro della Lega dei Comunisti, Mladic iniziò la sua carriera nell’Armata Popolare Jugoslava nel 1965. Durante le guerre civili seguite alla morte di Tito, ricoprì inizialmente l’incarico di alto ufficiale dell’esercito jugoslavo, poi di capo di stato maggiore delle forze armate dell’esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina durante la guerra in Bosnia. L’11 luglio 1995 portò i suoi soldati nella zona protetta di Srebrenica, allora tutelata dalle truppe olandesi delle Nazioni Unite che si ritirarono senza opporre resistenza. La strage di profughi bosniaci che seguì ha provocato, secondo le accuse, più di 8mila vittime, anche se le famiglie delle persone uccise sostengono che i morti furono oltre 10mila.

La fine del “Macellaio di Bosnia” – La condanna arriva sei anni dopo la cattura: nel 2011, Mladic fu arrestato dopo anni di latitanza in patria dove è stato protetto da familiari e da ex commilitoni. Un anno fa anche Radovan Karadzic, ex militare e leader politico serbo-bosniaco, aveva avuto la stessa sorte di Mladic: accusato di genocidio e crimini contro l’umanità, fu condannato a 40 anni per il massacro di Srebrenica.