Due bombe in chiesa, oltre 20 morti e 110 feriti. Domenica 27 gennaio Jolo, cittadina dell’isola di Sulu nelle Filippine sud-occidentali, è diventata teatro di guerra in una terra che cerca pace. Si ipotizza un’azione del gruppo Abu Sayyaf, affiliato all’Isis, che attraverso l’agenzia di stampa Amaq, ha rivendicato l’attentato. Il presidente filippino Rodrigo Duterte ha promesso: «Perseguiremo fino alla fine del mondo gli spietati responsabili che sono dietro questo crimine ignobile».
L’attentato – La prima bomba è esplosa all’ingresso della cattedrale di Jolo, uccidendo 15 civili mentre si stava celebrando la messa. La seconda è detonata nel parcheggio antistante e ha colpito 5 soldati che si trovavano lì a protezione dell’edificio. I feriti gravi sono stati evacuati in elicottero verso la penisola di Zamboanga, nel Mindanao. Nella regione i cristiani sono in minoranza e non sono nuovi gli episodi di violenza contro di loro.
Risposta del governo – Nella giornata di lunedì 28 è prevista una visita del presidente Duterte a Jolo, accompagnato dai suoi addetti alla sicurezza. Il capo della polizia nazionale Oscar Albayalde aveva già ipotizzato la mano di Abu Sayyaf dietro l’attentato, e ha identificato come principale sospettato una persona nota alle autorità con il nome in codice “Kamah”. Si tratterebbe del fratello del leader dell’organizzazione Surakah Ingog, un esperto nella costruzione di ordigni. Albayalde ha specificato che per fabbricare le bombe sono stati usati quattro chili di esplosivo.
Referendum per l’autonomia – Nella ricostruzione dell’Asia Times, l’attacco di Abu Sayyaf è una risposta al referendum sull’autonomia della regione tenutosi il 21 gennaio, a cui è seguito l’intensificarsi dell’attività militare governativa contro i gruppi armati islamici che non hanno ratificato gli accordi. Il Fronte islamico di liberazione Moro (Milf) ha deposto in seguito all’accordo di pace del 2014 e ha duramente condannato l’attacco. Abu Sayyaf è nata negli anni Novanta con l’appoggio di Al Qaeda e oggi è affiliata allo Stato Islamico (Isis). Si è resa famosa per la sua strategia di rapimenti con riscatto. Dietro l’attacco potrebbe esserci la volontà di vendicare un raid governativo ai campi del gruppo Maute, altra organizzazione filippina affiliata all’Isis, che a differenza di Abu Sayyaf ha però approvato gli accordi sull’autonomia.
Il referendum del 21 gennaio ratifica la Bangsamoro Organic Law (BOL), fortemente voluta da Duterte e negoziata con il consenso dell’elite politica cristiana. Prevede la sostituzione della Regione Autonoma del Mindanao Musulmano con una nuova entità territoriale – la Regione Autonoma del Bangsamoro nel Mindanao Musulmano (Bangaloro in filippino significa «nazione dei Moro», com’erano definiti i musulmani dai colonizzatori spagnoli) -, la concessione di nuovi poteri e maggiore autonomia amministrativa ai musulmani, che nel sud-ovest del Paese sono la maggioranza pur vivendo in un Paese a prevalenza cattolica.