All’armi son fascisti! Pur riconoscendo la vittoria dei socialdemocratici, i giornali del continente segnalano come ancora una volta un partito di destra nazionalista e xenofoba si sia imposto nella scena politica europea. Le elezioni finlandesi del 14 aprile 2019 hanno visto confermarsi il Finns party al 19% anche dopo la svolta a destra, aumentando la preoccupazione delle forze moderate, liberali e progressiste in vista della chiamata continentale alle urne del 26 maggio, tra poco più di un mese. Anche se il partito di maggioranza relativa è stato quello socialdemocratico, che è arrivato primo a 20 anni dall’ultima affermazione, il Finns party, detto anche dei Veri finlandesi, è arrivato secondo per soli 7mila voti. Da un decennio un partito rilevante nello scenario finnico, lo spostamento a destra degli ultimi anni ha spinto gli altri partiti a una conventio ad excludendum nei suoi confronti, tenendolo fuori da ogni ipotesi di governo.
Da partito di governo a paria – Il Finns party esiste da 25 anni e ha avuto una lenta ma costante ascesa fino al boom di voti alle elezioni del 2011, dove fu terzo e prese il 19%, a poca distanza dai socialdemocratici e dai liberal-conservatori. Nel 2015 confermò il risultato ed entrò anche nel governo in coalizione con la destra moderata. I rapporti con gli altri partiti crollano a partire dal 2017, quando il blogger xenofobo Jussi Halla-aho è eletto segretario. Halla-aho tiene tuttora un blog, Scripta, dedicato alla critica dell’islam, del multiculturalismo, dell’immigrazione e del politicamente corretto. Sebbene lui si definisca solo un critico, è spesso accusato di razzismo ed è stato condannato per “turbamento etnico”, l’equivalente nella legge finlandese di “incitazione all’odio razziale”. Era stato anche sospeso dal suo stesso partito per un paio di settimane per aver scritto che i problemi finanziari della Grecia potevano essere risolti solo con un regime militare. Subito dopo la sua elezione, il capo del governo di coalizione Juha Sipilä annunciò che preferiva far cadere il governo che continuare a cooperare con Halla-aho. La crisi si risolse quando metà dei parlamentari del Finns party abbandonò il partito per continuare a sostenere il governo, mandando i Veri finlandesi all’opposizione. Il partito è nel Parlamento europeo dal 2009, nel quale è stato in gruppo prima con la Lega nord e l’Ukip britannico e poi con i conservatori inglesi.
Austriaci i primi sovranisti al governo – Nonostante abbia il 20% dei seggi, il Finns party molto probabilmente sarà tenuto fuori da ogni coalizione, come promesso dagli altri grandi partiti finlandesi. Altri partiti europei di destra sovranista, euroscettica e ostile all’immigrazione invece sono riusciti a entrare nei governi nazionali. Il primo gruppo sovranista a farcela fu il Freiheitliche Partei Österreichs, il Partito della libertà austriaco, a inizio anni 2000 quando la parola sovranista ancora non si era conquistata il palcoscenico del lessico politico. Il suo segretario Jörg Haider a fine anni Novanta sposò tesi anti-immigrazione e nazionaliste, portando il partito al suo massimo storico del 27% ed entrando in un governo di coalizione coi popolari. Il boicottaggio del resto d’Europa e la pratica di governo moderarono le posizione del FPÖ, costandogli però moltissimi voti. Il nuovo segretario Heinz-Christian Strache ha riportato il partito su posizioni xenofobe, islamofobe e nazionaliste e al successo elettorale. Alle presidenziali del 2016 il loro candidato Norbert Hofer vinse al primo turno, anche se perse il ballottaggio contro il verde Alexander Van der Bellen. Dopo le elezioni del 2017 è tornato al governo insieme ai popolari nel governo di Sebastian Kurz, alla guida di importanti ministeri come gli interni, gli esteri e la difesa.
Pur essendo rispettivamente nel Partito popolare europeo e nei Conservatori e riformisti, anche i partiti Fidesz di Viktor Orbán in Ungheria e “Diritto e giustizia” del presidente Andrzej Duda in Poloniasono considerati vicini alle posizioni della destra sovranista. Dichiaratamente sovranista è poi ovviamente la Lega Nord di Salvini.
Chiazze nere anche in Spagna – La Spagna sembrava immune alla crescita della destra radicale, fino alle elezioni andaluse del dicembre 2018. Il partito Vox, nato nel 2013 e fino ad allora mai andato oltre lo “zero virgola” in tutte le elezioni a cui ha partecipato, ha preso il 10%, imponendosi come quinto partito in una regione tradizionalmente di sinistra. Vox, guidato da Santiago Abascal, è un partito ultranazionalista che afferma di volere riformare la Spagna in senso centralista, cancellando le autonomie regionali come quella catalana, e si oppone all’immigrazione e all’Islam. Non è nel governo andaluso formatosi dopo le elezioni, ma gli dà appoggio esterno. Perdente di successo, un po’ come i Veri finlandesi, è la destra radicale in Francia e Germania.
Oltralpe il Rassemblement national, nuovo nome del Front National attivo dal 1972, di Marine Le Pen negli ultimi anni è stato il primo partito alle europee del 2014 col 25% e soprattutto ha avuto serie possibilità di vincere le presidenziali francesi del 2017. Per la seconda volta il leader del Front National è arrivato al ballottaggio e, a differenza della prima volta di Le Pen padre nel 2002, ha guadagnato un ulteriore 12% al secondo turno, pur perdendo alla fine contro Emmanuel Macron. Una delusione è arrivata però dalle legislative seguenti, dove il RN conquistò solo 8 parlamentari, anche per via del sistema elettorale francese.
In Germania la destra radicale è rappresentata da Alternative für Deutschland, nato nel 2013. Inizialmente su posizioni liberali benché euroscettiche, si è in breve tempo spostato verso tesi nazionaliste e contrarie all’immigrazione, aumentando così di molto il proprio successo elettorale. Alle regionali del 2016 è stato il secondo partito in Sassonia-Anhalt e Meclemburgo-Pomerania, pur rimanendo escluso dal governo, mentre alle politiche del 2017 si è imposto come terzo partito tedesco col 13%.