È appena atterrato in Italia Alan Friedman, giornalista newyorkese giramondo, conduttore di diversi programmi televisivi in Italia. Il suo aereo è decollato da Washington, dove oggi Barack Obama ha invitato il fresco vincitore delle elezioni americane, Donald Trump. Il risultato del martedì elettorale ha sorpreso il mondo intero. Men che meno molti mass-media, che hanno sottovalutato l’ascesa del tycoon.

Il Moderatore Alan Friedman, giornalista e scrittore durante l'Assemblea di Confindustria Siena, Arezzo e Grosseto, 1 Luglio 2014. ANSA/ FABIO DI PIETRO ANSA/FABIO DI PIETRO

Alan Friedman

Quasi tutti i giornali americani erano dalla parte di Clinton e non sono riusciti a comprendere in tempo il fenomeno Trump. È il segno di una frattura tra la stampa e il mondo reale?
«In America come in altre parti dell’occidente è in corso una rivolta dei “contadini” contro le élite. È certamente vero che i giornalisti vivono in una bolla, ma erano anche apertamente schierati a favore di Clinton. L’unica cosa vera di quelle dette da Trump è che c’era una campagna dei media, che erano terrorizzati dall’idea che vincesse, contro di lui. I direttori dei telegiornali, ma anche quelli della carta stampata, sono stati cooptati dall’establishment.  A un commentatore della Cnn o a un collega del New York Times importa più di essere invitato a una festa con i potenti di Washington, che essere un giornalista equilibrato. Sono succubi del potere: questo spiega il divario tra giornalisti, ma anche sondaggisti e uomini di Wall Street, e la gente comune».

Nemmeno le inchieste hanno più utilità? È stato il Washington Post, ad esempio, a ripescare la registrazione del 2005 in cui Trump si vantava di poter disporre a suo piacimento del corpo delle donne.
«Io sono stato un giornalista investigativo per tutta la vita, ma porrei la questione diversamente. Non direi che il Washington Post abbia “ripescato” quel video, piuttosto che qualcuno in combutta con Clinton ha strumentalmente messo nelle mani del Washington Post quel video per colpire Trump. Questo non è giornalismo investigativo, è essere succubi del potere, essere faccendieri. Io mi sono ispirato al grande giornalismo di Woodward e Bernstein, quelli del caso Watergate. Ho fatto la mia carriera indagando Gianni Agnelli e Cesare Romiti, la Casa Bianca per lo scandalo Iraq-gate, e, tornando in Italia, Giorgio Napolitano e Mario Monti. Credo nel giornalismo investigativo. Purtroppo in America e nel mondo è più diffuso l’infotainment, che è giornalismo stupido, del livello più basso. È una tendenza tragica».

Lo scorso anno ha scritto la biografia autorizzata di Silvio Berlusconi, che qualcuno paragona a Trump. Ha senso considerarli simili?
«No. Berlusconi è un boyscout rispetto a Trump. L’unica cosa in comune è una certa volgarità nel rapporto con le donne. In Italia Beppe Grillo è più simile, perché rappresenta quel rigurgito antisistema che segue la logica “muoia Sansone con tutti i filistei”. Una tendenza  destinata a dilagare in tutto l’occidente».