Sette colpi di avvertimento contro la delegazione in visita, il panico fra i diplomatici e la ricerca di un riparo verso le auto blindate. «Rammaricati per il disagio causato», ha dichiarato l’Idf. Nessun ferito ma grande spavento vicino al campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. La delegazione su cui nel pomeriggio di mercoledì 21 maggio è stato aperto il fuoco era composta da 25 persone tra diplomatici, media locali e rappresentanti dell’Autorità palestinese. Tra di loro anche Alessandro Tutino, 35 anni, viceconsole italiano a Gerusalemme. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha chiesto chiarimenti a Tel Aviv e ha convocato l’ambasciatore di Israele a Roma, Jonathan Peled. Lo stesso hanno fatto Londra, Parigi, Madrid e Bruxelles.
Il fatto – La visita era stata programmata in anticipo e secondo un percorso concordato. Nonostante ciò il gruppo, che stava facendo delle riprese, è stato allontanato nei pressi del cancello giallo del campo profughi, considerato zona di combattimento attiva. «La delegazione ha deviato dal percorso approvato ed è entrata in un’area vietata», ha spiegato l’esercito israeliano che ha poi ventilato un’indagine interna. «Nessuna persona della delegazione è mai stata all’interno del campo», ha invece dichiarato Tutino al Corriere della Sera. «Tutte le delegazioni erano e sono rimaste al di fuori, in prossimità del campo ma mai dentro». Jenin è considerato un punto particolarmente caldo per la resistenza armata contro Israele. La Cisgiordania, secondo la comunità internazionale, dovrebbe essere amministrata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp), ma la sua competenza è in realtà ridotta e i territori sono sotto controllo dell’esercito israeliano.
Le reazioni – Il ministero degli esteri dell’Anp ha condannato l’episodio e ha postato un video che mostra gli spari in aria e la fuga dei diplomatici. Oltre alla sua condanna, è arrivata anche quella dell’Italia, degli altri Paesi coinvolti e dell’Alta rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri Kaja Kallas: «Incidente inaccettabile». Il ministro degli Esteri Tajani ha dichiarato che «le minacce contro i diplomatici sono inaccettabili» e ha convocato presso la Farnesina, insieme alla presidente del consiglio Giorgia Meloni, l’ambasciatore israeliano Peled, ottenendo le sue scuse. Il segretario generale della Farnesina, Riccardo Guariglia, ha giudicato «inaccettabile il fatto che una delegazione diplomatica civile venisse allontanata da un’area presidiata dai militari con l’uso delle armi da fuoco» e, affrontando il tema di Gaza, ha chiesto che si aprano i varchi per permettere l’ingresso di aiuti alimentari e sanitari adeguati. L’Italia resta comunque, insieme alla Germania, uno dei quattro Paesi che mercoledì a Bruxelles ha votato contro il congelamento degli accordi commerciali con Tel Aviv.
Netanyahu – Sul conflitto in corso si è espresso nella stessa serata di mercoledì 22 il premier Benajamin Netanyahu, durante la prima conferenza stampa dopo quella 9 dicembre 2024. L’accusa ad Hamas è di saccheggiare una parte significativa degli aiuti umanitari e di rivendere il resto a un prezzo gonfiato «per finanziare il suo esercito terroristico». Ha sottolineato, inoltre, che gli obiettivi della guerra restano sempre gli stessi: «Al termine dell’operazione Carri di Gedeone tutte le aree di Gaza saranno sotto il controllo di sicurezza israeliano».
Aiuti umanitari – Oggi 22 maggio l’Onu ha fatto sapere di aver recuperato e cominciato a distribuire nella Striscia di Gaza 90 camion di aiuti umanitari. Tre giorni prima Israele aveva annunciato di aver riaperto i valichi per l’entrata degli aiuti: Regno Unito, Francia, Canada avevano giudicato però «totalmente inadeguati» quelli entrati mercoledì 21 dal valico di Kerem Shalom, a Sud della Striscia (15 camion, secondo l’agenzia Reuters).