Di fronte alle nette prese di posizione dei leader del G7, e in particolare del presidente Usa Joe Biden, non poteva tardare la risposta della Cina. Tramite un portavoce dell’ambasciata a Londra, Pechino ha denunciato «le interferenze negli affari interni» dei Sette. Interferenze che, secondo i diplomatici del Dragone rosso, vanno iscritte all’interno di un disegno di manipolazione propagandistica a cui, fanno sapere da Pechino, la Cina «si opporrà fermamente».

Nuove strategie – Nelle venticinque pagine del comunicato conclusivo diffuso per la chiusura G7 d’oltremanica, la parola “Cina” compare tre volte. La prima, nel punto in cui i Sette chiedono «un rafforzamento della trasparenza e dell’affidabilità» delle istituzioni mediche internazionali, anche per risalire alle origini del Covid-19; richiesta che Pechino bolla come un tentativo di politicizzare le indagini. Si passa poi al rispetto dei diritti umani: «Chiederemo alla Cina di rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, specialmente per i casi dello Xinjiang (la regione dove vive la maggioranza degli uiguri, ndr) e di Hong Kong».
Il tema più importante rimane l’economia: i Paesi del G7 si impegnano, nello «spirito di condivisione di obiettivi e valori democratici», a difendere il sistema di cooperazione internazionale, anche per arginare le politiche «avverse al libero mercato» adottate da Pechino. Tradotto: decine, o forse centinaia di miliardi di dollari verranno stanziati per arginare e contrastare la “Belt and Road initiative”, la Nuova via della seta, il piano di investimenti strategici che Pechino lanciò nel 2013 per aumentare il proprio peso nello scacchiere politico e commerciale globale. In Cornovaglia è stato annunciato il “Build back better world”, un programma di investimenti per competere con quello cinese.

Nuova Alleanza atlantica – Già domenica sera, Pechino ha diffuso una nota per chiarire che «un piccolo gruppo di Paesi non può decidere per tutto il mondo». Biden, comunque, considera questo G7 un successo che dimostra l’esistenza di un’alternativa democratica a quella cinese. L’inquilino della Casa Bianca ha chiarito che una nuova guerra fredda, in ogni caso, non è all’orizzonte. O, almeno, non in quello immaginato in seno all’Alleanza atlantica. In vista dei summit del 14 giugno con Biden, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha chiarito che la Cina «non è un avversario» e che «con Pechino dobbiamo dialogare su questioni importanti come clima e controllo degli armamenti», pur sottolineando che «la Cina non condivide i nostri valori di democrazia e diritto». I toni sono certo più tenui di quelli utilizzati da Donald Trump, ma il senso rimane lo stesso: le iniziative estere degli Stati Uniti e degli alleati devono arginare ulteriori allargamenti della sfera d’influenza cinese nel mondo.

Il leader del G7 in Cornovaglia (foto Ansa)

Passi avanti e stalli – Nella cornice marina della Cornovaglia non si è discusso solo di strategie anti-cinesi. Il meeting segna di fatto il ritorno a quello che Emmanuel Macron ha definito «multilateralismo efficace», un cambio di passo deciso rispetto alla presidenza Trump. I Sette hanno promesso 100 miliardi l’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo nel percorso della transizione ecologica, oltre a garantire la fornitura di un miliardo di vaccini ai Paesi più poveri. Un accordo è stato confermato anche sul tema della minimum global tax, l’aliquota minima del 15% da adottare di comune accordo per la tassazione delle multinazionali. Nessun passo avanti sull’Irlanda del Nord: se ne discuterà di nuovo il 15 giugno, giorno in cui è in programma a Bruxelles un vertice Usa-Ue.